sabato 9 agosto 2025

Una dimensione nascosta

 





Siamo portati a credere di sapere chi siamo: pensiamo di conoscere le nostre reazioni, le nostre paure e ciò che ci motiva. Eppure, quante volte ci sorprende un’emozione improvvisa, una decisione presa d’istinto o un pensiero che non avevamo mai considerato? Questi momenti ci rivelano che esiste una parte di noi meno visibile, che agisce al di sotto della nostra piena consapevolezza.


Questa dimensione nascosta non è un concetto misterioso, ma un insieme di processi mentali ed emotivi che operano senza che ce ne rendiamo conto. È lì che si formano associazioni, convinzioni e abitudini che, giorno dopo giorno, influenzano le nostre scelte.





La parte “sommersa” che guida le nostre azioni



Spesso crediamo che il cambiamento dipenda solo dalla forza di volontà. Ci diciamo: “La prossima volta reagirò diversamente”. Ma se non impariamo a riconoscere e comprendere ciò che avviene sotto la superficie, rischiamo di ripetere sempre gli stessi schemi.


Questa parte nascosta si manifesta attraverso:


  • Emozioni improvvise che non sappiamo spiegare.
  • Pensieri automatici che emergono senza preavviso.
  • Reazioni impulsive che sembrano sfuggire al controllo.



Prenderne consapevolezza non significa subirla, ma usarla a nostro favore.





Come trasformare l’invisibile in alleato



Il primo passo è osservare come certi schemi si attivano nel presente: in quali contesti reagiamo sempre allo stesso modo, quali parole o situazioni fanno scattare emozioni intense, quali convinzioni profonde si ripetono da anni.


Non serve “scavare all’infinito” nel passato: ciò che conta è capire come questi meccanismi si manifestano qui e ora. Ogni volta che li riconosciamo, creiamo uno spazio di scelta. E in quello spazio possiamo decidere di agire in modo nuovo.





Conclusione: scegliere di conoscerci davvero



La vera consapevolezza non nasce solo da ciò che è in piena luce, ma anche dall’accettare di guardare ciò che si muove nell’ombra. Che lo vogliamo o no, questa parte nascosta continuerà a influenzarci. La differenza sta nel decidere se subirla o trasformarla in una nostra alleata.


sabato 19 luglio 2025

Il filo della storia





Un approccio terapeutico che unisce parole, presenza e trasformazione.

Ci sono parole che aiutano a guarire. Non perché abbiano un potere magico, ma perché sanno arrivare nei punti in cui ci si è perduti, dove la logica si ferma e comincia il sentire. È in questi spazi – profondi, sensibili, spesso silenziosi – che nasce il mio modo di lavorare in terapia.

È difficile spiegare in termini semplici un processo complesso come quello terapeutico. Ma forse si può iniziare da un’immagine: quella del racconto. 

In fondo, ogni persona che arriva in studio porta una storia. 

Alcune sono già molto scritte, altre frammentate, confuse, dolorose. 

Il mio compito, come psicologo, è aiutare a ritrovare il filo. E quel filo, talvolta, lo si ritrova non solo parlandone, ma anche raccontandolo in un modo diverso. Più vivo. Più sentito. Più presente.

È qui che si intrecciano le due anime del mio approccio: l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) e l’ipnosi clinica, secondo il modello dell’Istituto di Ipnosi Clinica Sperimentale “Franco Granone” di Torino.

L’ACT è un approccio moderno, profondo,che lavora sulla flessibilità psicologica, sull’accettazione dell’esperienza, sul valore di ciò che conta davvero nella nostra vita. Non si tratta di cambiare i pensieri, ma di cambiare il nostro rapporto con i pensieri. Non si tratta di controllare le emozioni, ma di imparare a lasciarle fluire, senza esserne travolti.

Ma le parole da sole non bastano. Ci sono momenti in cui la mente razionale non riesce più a trovare la via. Ed è lì che entra in gioco l’altra parte del mio lavoro: l’ipnosi clinica.

L’ipnosi non è un trucco, né un dormire. È, come ci insegna il modello di Granone, un linguaggio dell’esperienza, uno stato in cui l’attenzione diventa più focalizzata, la coscienza più fluida, e le possibilità di cambiamento più accessibili. Non si “perde il controllo”: si fa spazio. Si entra in una relazione più profonda con se stessi.

Nel mio modo di condurre le sedute, l’integrazione tra ACT e ipnosi avviene attraverso il linguaggio. Non si tratta solo di “fare ipnosi” in senso stretto, ma di parlare in modo ipnotico: usare un tono caldo, immagini evocative, metafore, pause. Accompagnare il paziente in una narrazione diversa di sé. Raccontare una nuova versione della storia in cui, passo dopo passo, si può scegliere una direzione più vicina ai propri valori.

Per esempio, se un paziente racconta di non riuscire a liberarsi da un pensiero ossessivo, non gli dico subito come contrastarlo. Lo invito a immaginarlo come una barca che passa sul fiume, come un personaggio che attraversa una scena. Lo guido con parole che rallentano, che entrano, che aiutano a vedere da fuori, a sentire senza schiacciarsi. Questo è parlare “in ipnosi”, ma con gli occhi aperti. È portare la profondità nella semplicità. È una forma di presenza.

Ogni incontro è diverso. Ci sono sedute più riflessive, altre più evocative. Alcune partono dal corpo, altre da una frase lasciata a metà. Ma tutte hanno un filo conduttore: accogliere il vissuto, restare con ciò che c’è, e trovare insieme la forma per farlo evolvere.

L’ACT mi offre la struttura, i principi, l’etica del lavoro sul valore e sulla responsabilità. L’ipnosi clinica, come la intendo e la pratico, mi dà la possibilità di sintonizzarmi con la persona, anche nei silenzi. Di accompagnare con rispetto, profondità e delicatezza quei passaggi in cui la coscienza si apre e qualcosa inizia, piano piano, a trasformarsi.


Questo approccio non propone soluzioni preconfezionate. Non c’è un copione. C’è piuttosto un invito a ri-scrivere, insieme, una storia in cui ci si possa riconoscere di più. Una narrazione in cui i dolori trovano posto, ma anche i desideri, i sogni, le scelte.

Perché – in fondo – ogni cambiamento inizia da un nuovo modo di raccontare chi siamo.




sabato 28 giugno 2025

ABC







Quando si comincia un percorso di terapia psicologica, uno dei primi obiettivi è iniziare a comprendersi meglio. Ma cosa significa davvero “capire cosa succede dentro di sé”? Per chi segue un approccio cognitivo-comportamentale, questo non è solo un obiettivo vago: ha una struttura precisa, un metodo che insegna a osservare ciò che accade nella propria mente e nel proprio comportamento. Questo metodo si chiama modello A–B–C, ed è uno degli strumenti più importanti per chi desidera fare un cambiamento autentico e duraturo.





Cos’è il modello A–B–C?



Il modello A–B–C è una tecnica che aiuta a scomporre ciò che viviamo, in modo da riconoscerne la struttura interna. Le tre lettere stanno per:


  • A – Evento Attivante: ciò che succede fuori di noi (un litigio, una critica, un imprevisto, un messaggio non ricevuto…)
  • B – Beliefs (credenze): il modo in cui interpretiamo quell’evento. Sono i pensieri, i significati, le convinzioni che si attivano dentro di noi.
  • C – Conseguenze: le emozioni che proviamo, le reazioni del corpo, i comportamenti che mettiamo in atto.



Un esempio:

A: Una collega passa e non mi saluta.

B: “Ce l’ha con me, non mi sopporta. Forse ho fatto qualcosa di sbagliato.”

C: Mi sento in ansia, mi chiudo in me stesso, evito di parlarle.





Perché è così importante?



Perché ci fa capire che non è l’evento esterno a causare direttamente ciò che proviamo, ma il modo in cui lo interpretiamo.

In altre parole, tra quello che accade e come ci sentiamo ci siamo noi, con i nostri pensieri, schemi, storie passate e aspettative.


Questa consapevolezza è una svolta: ci restituisce potere.

Se a determinare come stiamo non è solo ciò che accade, ma ciò che pensiamo di ciò che accade, allora possiamo imparare a osservarci, metterci in discussione e, quando serve, cambiare.





All’inizio di un percorso: perché si parte da qui?



All’inizio di una terapia psicologica, il modello A–B–C è la mappa fondamentale.

Prima ancora di cambiare abitudini, emozioni o stati d’animo, è essenziale imparare a distinguere questi tre elementi:


  • Cosa accade intorno a me (e dentro di me)?
  • Cosa mi racconto, cosa penso?
  • Come mi sento e come reagisco?



Molte persone arrivano in terapia psicologica con la sensazione che “le cose accadano e basta”, o che “le emozioni siano troppo forti per essere gestite”. Il modello A–B–C non banalizza questa esperienza, ma la traduce in un linguaggio più chiaro, analizzabile e gestibile.





Una tecnica per conoscersi, non per giudicarsi



Il modello A–B–C non serve a dire “hai sbagliato a pensare così”. Al contrario, serve a guardare i propri pensieri come ipotesi, come prodotti della propria storia personale, delle esperienze vissute, delle paure e dei bisogni.


Spesso si scopre che alcune reazioni emotive hanno radici in pensieri automatici ripetitivi, che si attivano quasi senza accorgersene. Prendere confidenza con questi meccanismi significa vederli, nominarli e imparare a non farsene travolgere.





Un passo alla volta, dentro di sé



Imparare a usare l’A–B–C è come imparare a leggere dentro di sé in modo nuovo. Non è una tecnica da applicare una volta sola, ma uno strumento da allenare nel tempo, in vari momenti della propria giornata.


Con il tempo, molte persone iniziano a riconoscere le proprie credenze più profonde, spesso automatiche e inconsapevoli. Ed è lì che il lavoro si fa davvero trasformativo: quando si riesce a vedere che non si è sbagliati, ma si è stati per molto tempo prigionieri di pensieri rigidi o distorti.





In conclusione



La terapia psicologica basata sul modello cognitivo-comportamentale non inizia con consigli o soluzioni pronte. Inizia con una lente di osservazione. Il modello A–B–C è quella lente: semplice da comprendere, ma capace di aprire mondi interiori complessi.


Comprendere come funziona la relazione tra eventi, pensieri ed emozioni è il primo vero passo per poter scegliere, trasformare e vivere con maggiore consapevolezza.


E per molti, è anche il primo passo per sentirsi davvero liberi, dentro.


Una dimensione nascosta

  Siamo portati a credere di sapere chi siamo: pensiamo di conoscere le nostre reazioni, le nostre paure e ciò che ci motiva. Eppure, quant...