Visualizzazione post con etichetta racconti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta racconti. Mostra tutti i post

sabato 8 marzo 2025

La collina di Torino




Torino. 

Agosto. 

L’aria era immobile, pesante, densa di umidità. Il sole si rifletteva sui palazzi del centro come un bagliore dorato, facendo sembrare ogni superficie un fuoco liquido. Corso San Maurizio, che portava verso il precollina, era quasi deserto. Il traffico era ridotto all’essenziale: qualche autobus vuoto, qualche bicicletta solitaria, i pochi torinesi rimasti in città che si muovevano con l’andatura lenta e svogliata di chi sopravvive a una fornace a cielo aperto.


Sara camminava veloce, evitando le zone di sole e cercando con lo sguardo piccoli rifugi d’ombra tra i palazzi. Era venerdì sera, e mentre attraversava il Lungo Po, il rumore ovattato delle auto che scivolavano sul manto stradale e il brusio sommesso delle conversazioni nei dehors dei bar si mescolavano in un sottofondo che riempiva la serata estiva.


L’aria era calda, ma a tratti una brezza leggera risaliva dal fiume, portando con sé l’odore dell’acqua e del cemento surriscaldato. Il sole, ormai basso all’orizzonte, proiettava lunghe ombre sui marciapiedi, e Sara si muoveva agilmente tra i giochi di luce e ombra, con il passo sicuro di chi conosce ogni angolo della città.


Era molto carina, con un volto dai lineamenti delicati e occhi azzurri identici a quelli di sua madre, chiari e vivaci, capaci di catturare ogni dettaglio attorno a lei. Il suo fisico, invece, lo aveva preso da suo padre, alta e slanciata, con movimenti sempre fluidi e naturali.


Assomigliava molto anche a suo fratello minore, che aveva quindici anni e viveva ancora con i loro genitori. Era molto legata a lui.


Vestiva con una semplicità che non era mai banale: un jeans dal taglio perfetto, morbido e leggermente scolorito, abbinato con naturalezza a una maglia della Pepe Jeans, comoda, fresca, dal tessuto sottile che accarezzava la pelle senza aderire troppo. Ai piedi, un paio di Nike bianche che avevano visto giorni migliori. Un tempo immacolate, ora erano segnate dal tempo e dalle strade percorse, un bianco che era stato bianco, ma che continuava a portare con sé un fascino vissuto e autentico.


Ogni suo passo, ogni suo movimento, sembrava perfettamente in sintonia con l’ambiente attorno a lei, come se appartenesse a quella città, alle sue vie, ai suoi tramonti dorati.


Palazzo Nuovo, con le sue grandi vetrate annerite dal tempo e il cortile interno pieno di fogli stropicciati abbandonati sulle panchine, l’aveva accolta tutto il giorno tra i suoi corridoi asfissianti, le lezioni letargiche di fine sessione e la biblioteca dove aveva passato ore a studiare. Ma ora voleva solo tornare nella sua stanza.


Il collegio si trovava in collina, nella parte più elegante e silenziosa del precollina torinese. Era un edificio antico, costruito in pietra chiara e circondato da giardini con siepi perfettamente curate. Le stanze erano fresche, con soffitti alti e finestre che davano sulla città. Di notte, la vista era spettacolare: le luci di Torino si stendevano come una costellazione sotto di lei, e il Po sembrava una lama d’argento che tagliava la città in due.

Prese il bus 78. 

Salì e si accorse subito di una cosa: tutti, nessuno escluso, erano incollati ai loro schermi.


Un ragazzo con una camicia di lino guardava un video senza cuffie, lo sguardo spento. Una donna sulla quarantina digitava velocemente un messaggio, le unghie che tamburellavano sul vetro del telefono. Accanto a lei, un uomo con la testa china stava leggendo un articolo, mentre il riflesso azzurrognolo del display gli scoloriva il viso.


Sara si sedette e si guardò intorno. 

Nessuno parlava. 

Nessuno si guardava.


Il bus procedeva lungo corso Moncalieri, scivolando tra le luci calde dei lampioni e le ombre proiettate dagli alberi che costeggiavano il fiume. Sara, seduta accanto al finestrino, osservava il Po scorrere placido accanto a loro, le sue acque appena increspate dal vento della sera. Torino aveva un modo tutto suo di trasformarsi al tramonto, le strade assumevano una calma quasi irreale, una quiete austera che si rifletteva nelle architetture imponenti della città.


Quando il bus arrivò all’altezza del Ponte Isabella, virò a sinistra, abbandonando la strada che costeggiava il fiume per imboccare corso Fiume. Qui, la città sembrava cambiare volto. Le palazzine lasciavano spazio a ville eleganti e silenziose, immerse nel verde, con giardini nascosti dietro cancelli in ferro battuto. Le facciate delle case erano austere, alcune di un bianco luminoso che sembrava assorbire gli ultimi bagliori del giorno, altre più scure, di mattoni rossi o pietra consumata dal tempo, con finestre alte e strette che nascondevano interni antichi e insondabili.


Sara le guardava scorrere una dopo l’altra, incantata e al tempo stesso inquieta. C’era qualcosa di ipnotico in quelle ville torinesi, con i loro cortili nascosti, le scalinate in pietra consumata, le statue silenziose che sorvegliavano gli ingressi.


Quando il bus giunse in piazza Crimea, la rotonda apparve immersa in un’atmosfera quasi sospesa. I locali attorno erano chiusi per ferie, le saracinesche abbassate conferivano alla piazza un’aria più solitaria del solito. Il parco della Crimea, accanto a loro, si distendeva come una macchia d’ombra, i suoi alberi si stagliavano contro il cielo che ormai si tingeva di blu profondo.


Fu in quel momento che lo sguardo di Sara si fermò su una villa in particolare, un edificio maestoso, leggermente nascosto dietro un fitto muro di vegetazione. Aveva finestre altissime, un ingresso sovrastato da colonne eleganti e un alone di mistero che la rendeva diversa dalle altre.


Non poteva fare a meno di pensare a “Profondo Rosso”.


La scena della villa del film di Dario Argento le tornò in mente con incredibile nitidezza: l’architettura imponente, il mistero che si annidava dietro quelle finestre, l’atmosfera carica di tensione e suggestione.


Sara distolse lo sguardo, un brivido le attraversò la schiena. Forse era solo la suggestione, o forse era quell’aria di Torino, così carica di storie non raccontate. Il bus riprese a salire, lasciandosi alle spalle la piazza e dirigendosi verso la collina, verso il collegio.



Eppure, tutti erano chiusi nei loro schermi, come se il mondo reale fosse diventato superfluo.


“Possibile che nessuno parli più con chi ha accanto?” pensò Sara.


Un tempo, il tragitto in autobus era fatto di piccole interazioni: uno sguardo scambiato con uno sconosciuto, una conversazione rubata tra due amici, il brusio dei discorsi che riempiva l’aria. Ora, invece, il silenzio era assoluto.


Un silenzio innaturale.


Arrivata alla sua fermata, scese e si incamminò verso il collegio. Le scale in pietra erano fresche sotto i sandali, il profumo dei pini e delle magnolie era l’unico sollievo dalla calura soffocante.


Il collegio era imponente, una struttura del XIX secolo con alte finestre, cancelli in ferro battuto e interni di legno scuro. Sara salì le scale di marmo, sentendo il suono ovattato dei suoi passi riecheggiare nel corridoio.


Entrò nella sua stanza e si tolse le scarpe. La finestra era aperta, e la città si stendeva davanti a lei, illuminata come una mappa vivente.


Si sedette sul letto e tirò fuori il libro che aveva comprato in libreria qualche giorno prima. Ma prima di aprirlo, prese il telefono.


Lo schermo si illuminò immediatamente.


Notifiche. Messaggi. Email. Un flusso continuo di informazioni che la tirava dentro, che le impediva di fare qualsiasi altra cosa. Lo sguardo le scivolò via dal libro e finì dentro quella prigione di vetro e pixel.


Quanto tempo passò?


Quando si riscosse, erano passati quaranta minuti. Quaranta minuti rubati.


Lo lasciò cadere sul letto, quasi disgustata. “Com’è possibile che ogni volta succeda la stessa cosa?”


Si alzò e si versò un bicchiere d’acqua. Domani avrebbe studiato tutto il giorno. Solo un aperitivo con qualche amico la sera, poi di nuovo sui libri.


Ma la sua mente continuava a tornare su quell’immagine: il bus pieno di persone, tutte intrappolate dentro uno schermo.


Era come se la città avesse smesso di esistere, come se nessuno fosse più capace di guardare oltre.


E lei? Ne era davvero immune?


Spense la luce e si infilò sotto le lenzuola. Il vento leggero entrava dalla finestra, portando con sé l’odore della collina.


Ma la sua mente non smetteva di lavorare.


Qualcosa non andava. E lei aveva la sensazione che fosse solo l’inizio.


sabato 12 agosto 2023

La casa



ATTENZIONE! 


Prima di iniziare il racconto, è importante sottolineare che tutto ciò che seguirà è frutto della fantasia dell'autore. 

I nomi, le teorie e le citazioni menzionate sono state inserite a puro scopo di intrattenimento e non hanno alcuna pretesa di essere cliniche, terapeutiche o esaustive. 

L'intento è quello di creare una storia coinvolgente e stimolante, che si basa su temi e concetti di natura psicologica senza essere strettamente vincolate alla realtà. 

Prendetelo come una piacevole immersione immaginativa, ma ricordate che non ha alcun valore scientifico o clinico.

Buona lettura! 
___________________________________________

Oggi parliamo un'affermato architetto di nome Francesca, piuttosto celebre negli anni 90, con una profonda competenza nel suo campo. 

Dopo aver dedicato molti anni a progettare edifici straordinari, Francesca era diventata famosa per la sua abilità nel concepire spazi che riflettevano la condizione psicologica umana. 

Le sue opere erano considerate una sorta di strumento psicologico, in grado di influenzare positivamente lo stato d'animo delle persone che le abitavano.

Francesca credeva fermamente che l'architettura potesse avere un impatto significativo sulla mente. I suoi progetti non erano solo belli da vedere, ma erano studiati accuratamente per creare armonia e benessere interiore.

La sua carriera l'aveva portata a lavorare in tutto il mondo, e una delle sue destinazioni preferite era la suggestiva Costa Azzurra, con la sua bellezza mozzafiato e il clima mediterraneo. 

Qui, aveva realizzato alcune delle sue opere più celebri, dimore caratterizzate da linee fluide, materiali naturali e ampie vetrate che permettevano alla luce di filtrare delicatamente nei diversi ambienti.

Attraverso i suoi progetti, Francesca creava spazi che non solo soddisfacevano le esigenze funzionali dei suoi clienti, ma che anche offrivano un'esperienza emozionale unica. 

La cura dei dettagli, l'armonia delle forme e la scelta accurata dei materiali influenzavano positivamente l'umore di chiunque entrasse in quegli ambienti, creando una sorta di connessione tra l'architettura e le emozioni umane.

Amava osservare le persone interagire con i suoi spazi. 

Vedere i suoi clienti camminare attraverso gli ambienti e permettere loro di immergersi completamente nella bellezza e nell'atmosfera che aveva creato, la riempiva di gioia e soddisfazione. 

Era come se la sua architettura diventasse un veicolo per esplorare la psicologia umana, rivelando aspetti nascosti delle emozioni e dell'anima.

Un giorno, mentre stava passeggiando fra i vicoli di un piccolo paese costiero, Francesca si imbatté per caso in un piccolo rigattiere. 

Attratta dalla sua passione per oggetti antichi, decise di dare un'occhiata tra i volumi polverosi. 

Mentre sfogliava i libri, il suo sguardo si posò su un vecchio tomo dal titolo intrigante: "Prescrizione Paradossale: Una prospettiva clinica". Curiosa di scoprire di cosa si trattasse, decise di acquistarlo, senza pensarci troppo. 

Mentre si rilassava in una graziosa brasserie locale con un aperitivo, Francesca iniziò a sfogliare il libro. 

Le pagine sbiadite del libro si aprirono come un vero e proprio scrigno di preziose informazioni su questa fantomatica prescrizione paradossale.

Francesca era affascinata dai concetti descritti: la richiesta da parte del terapeuta al paziente di mettere in atto il comportamento sintomatico di cui questi si voleva liberare.

Nonostante il testo fosse piuttosto tecnico, Francesca continuò a leggere, tuffandosi in esempi di casi clinici e spunti di riflessione. 

Si rese conto che, così come la terapia psicologica poteva avvalersi di questa tecnica per aiutare le persone a superare i loro problemi, anche l'architettura poteva avere un ruolo rilevante nel facilitare cambiamento e benessere.

La sua mente iniziò a vagare, immaginando come potesse applicare concetti simili nella sua professione. 

Iniziò a riflettere su come poter "prescrivere" un ambiente architettonico che potesse promuovere il superamento di paure, ansie o blocchi emozionali. 

Il suo entusiasmo crebbe, affascinata all'idea di creare spazi che potessero agire come una sorta di terapia architettonica per chi ci abitava.

Si rese conto che aveva appena pensato le basi per una nuova prospettiva psicologica da integrare nel suo lavoro. 

Finì il suo aperitivo, e corse a casa con il libro nella borsa e la mente colma di idee innovative. 

Era pronta a buttare giù delle idee circa la prescrizione paradossale nella’ architettura, portando avanti la sua idea di creare spazi che avrebbero influenzato positivamente lo stato d'animo delle persone che in quelle dimore avrebbero vissuto. 

Immaginò una villa sulle scogliere della Costa Azzurra, con pareti di vetro che offrivano una vista panoramica mozzafiato, ma che al contempo esponessero i suoi abitanti all'inevitabile paura dell'altezza.

La villa era moderna e audace, e si poteva proprio definire incastonata sulle maestose scogliere della Costa Azzurra. 

Francesca era affascinata dall'idea di  poter sfidare questa paura, di trasformarla in una forza motivante. 

Invece di cercare di evitare la sensazione di vertigini e di ansia che l'altezza poteva suscitare, decise di favorirla. 

Le pareti di specchio sarebbero state un riflesso per i suoi abitanti, cosi da incentivare la loro forza interiore e la determinazione a superare le proprie paure.

Inizió ad abbozzare una villa visionaria, strutturata in modo tale da sfidare costantemente gli abitanti a confrontarsi con la paura dell'altezza. 

La sua visione architettonica si basava sulla concettualizzazione ricavata dal libro, con l'obiettivo di creare un ambiente che favorisse la crescita personale, ma soprattutto il cambiamento trasformazione psicologico.

La dimora si ergeva su più livelli, con ampie terrazze panoramiche che si affacciavano sul mare increspato e sulle scogliere affilate. 

La facciata era caratterizzata da un audace uso di materiali trasparenti, come il vetro e l'acciaio, che accentuavano la sensazione di leggerezza e apertura verso l'esterno.

All'interno, progettò una disposizione degli spazi che stimolasse l'esplorazione e il superamento delle paure. 

Scale e ponti sospesi collegavano le diverse parti della villa, richiedendo agli abitanti di camminare a diverse altezze e di spostarsi in modo coraggioso tra i vari livelli. 

Ogni passo avrebbe rappresentato un piccolo trionfo personale, incoraggiando gli abitanti ad affrontare le proprie sfide e a superare le proprie paure.

Il concetto che guidava la sua progettazione era quello di creare un ambiente che stimolasse il superamento delle proprie paure attraverso una serie di sfide progressivamente più stimolanti.

Delle passerelle sospese e trasparenti avrebbero fornito un percorso tra le diverse zone della villa, richiedendo di spostarsi a diverse altezze e affrontare il senso di vertigine. 

Queste passerelle, non solo sarebbero state integrate sapientemente nel design architettonico, ma avrebbero creato un equilibrio tra bellezza estetica e sfida psicologica.

Le stanze sarebbero state con un soffitto variabile di diverse altezz, il che avrebbe richiesto agli abitanti di confrontarsi con la sensazione di uno spazio che muta e l'ansia associata a questa caratteristica. 

Queste stanze sarebbero state arredate in modo accogliente e confortevole, incoraggiando gli abitanti a trascorrervi il maggior tempo possibile, familiarizzando eventualmente con la paura del cambiamento meccanico dello spazio,  in un contesto sicuro.

Il giardino esterno sarebbe stato anch'esso parte integrante del progetto. 

Francesca creó percorsi curvi e labirintici che guidassero gli abitanti attraverso diverse altitudini così da avvicinarli gradatamente alla scogliera.

Queste passeggiate avrebbero offerto opportunità di esplorazione e avventura, ma allo stesso tempo avrebbero richiesto una consapevolezza costante del proprio equilibrio e della possibilità di affrontare la paura dell'altezza.


Anche ogni altro spazio avrebbe avuto un design unico e attentamente progettato per creare un ambiente coinvolgente e sfidante.

I due bagni della villa sarebbero stati dei veri e propri gioielli di design. 

Il primo bagno, situato al piano superiore, avrebbe presentato un'ampia vasca da bagno posizionata strategicamente accanto a una grande finestra panoramica. 

In questo modo, chi vi entrava avrebbe potuto immergersi nella vasca e godere di una vista mozzafiato sul mare, intraprendendo una sfida personale di comfort e relax in un contesto spettacolare. 

Il secondo bagno, invece, avrebbe presentato una doccia con pareti di vetro che consentivano di ammirare il panorama circostante mentre ci si lavava, mettendo alla prova la propria intimità e senso di vulnerabilità.

La cucina sarebbe stata un'area luminosa e spaziosa, con grandi finestre che fornivano una vista panoramica sulla Costa Azzurra. 

L'idea di progettare la cucina della villa in questo particolare modo era basata su una comprensione profonda degli aspetti psicologici legati all'esperienza culinaria. 

Francesca desiderava creare uno spazio che andasse oltre la funzionalità pratica, per diventare un luogo di esplorazione personale, condivisione e crescita.

La disposizione aperta e accogliente della cucina avrebbe incoraggiato gli abitanti a confrontarsi con le proprie abilità in fatto di cibo, sfidando i dubbi e i timori che spesso affiorano quando si sperimentano nuove ricette o si utilizzano nuove tecniche di cucina. 

Inoltre, la grande isola centrale avrebbe svolto un ruolo cruciale nel favorire l'interazione sociale e la condivisione di momenti conviviali. 

I commensali avrebbero potuto radunarsi intorno all'isola, partecipando attivamente alla preparazione dei pasti, scambiandosi consigli e trucchi dei grandi chef. 

Questa dinamica di collaborazione e condivisione avrebbe creato una sensazione di appartenenza e connessione, promuovendo una maggiore felicità e benessere mentale.

In definitiva, la cucina avrebbe rappresentato uno spazio di crescita personale, di sfida e di scoperta di sé, in cui sperimentare il piacere di cucinare e condividere con gli altri, alimentando così un senso di realizzazione e gratificazione.

Il soggiorno della villa rivestiva un ruolo fondamentale nel creare un ambiente in cui gli abitanti potessero sperimentare una connessione emotiva profonda e un senso di benessere psicologico. 

Ogni elemento dell'arredamento era stato scelto con cura per favorire un'atmosfera di eleganza e comfort.

Secondo il libro da cui Francesca attingeva, un ambiente fisico piacevole e ben arredato può avere un impatto significativo sul nostro stato d'animo e sulle nostre relazioni. 

Il soggiorno doveva essere uno spazio accogliente, con divani e poltrone comode che invitassero al relax e alla condivisione.

L'ampia zona living aperta era stata progettata per favorire un senso di connessione e di vicinanza tra gli abitanti. 

Secondo la teoria strategica citata nel libro, che pone l'agire al centro del pensiero, l'ampia zona living aperta della villa era stata progettata con l'intento di favorire un senso di connessione e vicinanza tra gli abitanti. 

Questa visione si basava sulla consapevolezza che le azioni influenzano direttamente i nostri pensieri e viceversa.

La disposizione degli arredi nel soggiorno aveva lo scopo di facilitare la comunicazione e l'interazione tra le persone. 

Ad esempio, i divani erano posizionati in modo tale da favorire una postura aperta favorevole alla conversazione. 

Le poltrone erano disposte in gruppi, creando spazi accoglienti per la condivisione di momenti di relax e di scambio di idee.

Il garage sarebbe stato progettato in modo tale da richiedere una guida attenta e precisa per accogliere le auto in uno spazio limitato e fornire un senso di sfida e maestria nella manovra. 

La presenza di pareti di vetro permetterebbe agli abitanti di affrontare la propria ansia da parcheggio, offrendo una prospettiva insolita e una sensazione di controllo anche in questa attività quotidiana.

Infine, i corridoi sarebbero stati caratterizzati da pareti di vetro che offrivano una vista parziale delle stanze adiacenti e del paesaggio esterno. 

Questo avrebbe richiesto agli abitanti di confrontarsi con il senso di esposizione e di sviluppare una maggiore fiducia nelle proprie capacità di navigare in un ambiente trasparente senza barriere.

In ogni zona della villa, Francesca avrebbe creato un ambiente in cui gli abitanti sarebbero stati costantemente stimolati a lavorare sulle proprie paure affrontando sfide personali.

Il progetto della villa ideato da Francesca sfido il modello tradizionale di architettura che cerca di spiegare e interpretare la complessità della natura umana. 

Il visionario architetto comprese che non esiste una spiegazione assoluta della natura umana e che la vita stessa è un continuo processo di scoperta e di adattamento.

Il suo progetto si concentrò maggiormente sul "come" le cose vengono fatte, piuttosto che sul "perché" vengono fatte. 

Questo approccio mette l'accento sull'importanza dell'agire e dell'esperienza diretta, riconoscendo che il fare e il vivere sono intrinsecamente legati al pensiero e all'identità individuale.

Nonostante la complessità del progetto architettonico, Francesca seppe svilupparlo in modo tale da minimizzare gli interventi di realizzazione. 

Dimostrò che un progetto di una casa, anche se complesso, può essere realizzato in tempi più brevi concentrandosi su un'efficace pianificazione e utilizzando metodi e materiali ottimali.

In conclusione, la villa di Francesca rappresenta un'opera architettonica unica che sfida le convenzioni e abbraccia un approccio più orientato all'azione e all'individuo. 

Riconoscendo l'impossibilità di raggiungere una spiegazione assoluta della natura umana, Francesca ha creato uno spazio che incoraggia gli abitanti a sperimentare, crescere e condividere esperienze, rendendo la casa un luogo di trasformazione personale e di connessione con i nuclei più profondi sé. 


sabato 24 giugno 2023

Il volo


Due amici, Alice e Matteo, si trovano in aeroporto ad aspettare il loro volo, che da Parigi li porterà a Tokyo. 

Hanno pianificato il loro viaggio per mesi e sono molto emozionati all'idea di visitare il Giappone.

Mentre aspettano di imbarcarsi, decidono di cenare presso uno dei tanti ristoranti dell'aeroporto. 

Siedono a un tavolo e guardando il menù, pensano entrambi alle specialità locali che sperano di assaggiare durante il loro viaggio in Giappone.

“Non vedo l'ora di provare il sushi giapponese vero e proprio!” dice Alice 

“Sì, anch'io sono curioso di assaggiarlo. Ma ho letto che ci sono anche molte altre specialità giapponesi che dovremmo provare, come il ramen”

“Mi hai fatto venire ancora più fame! Penso che ci porteremo a casa qualche chilo in più dopo il nostro viaggio.”

Matteo scoppia a ridere “ l'importante è godersi il viaggio e scoprire cose nuove.”

Durante la cena, Alice e Matteo parlano di tutto e soprattutto della cultura giapponese, divertendosi.

Ad un certo punto, Alice dice” Ti ricordi di Giulia?"

Matteo annuisce e risponde: "Certo che si, come sta?"

Alice sembra indecisa su come rispondere e poi dice: "Ho visto una pubblicità su una rivista per un prodotto che aveva usato nell'ultimo periodo. Mi ha fatto pensare a lei e alle difficoltà che sta affrontando.”

Matteo ascolta attentamente le parole di Alice: "Ricordo che Giulia soffriva di una fobia particolare. Pensavi a quella quando hai visto la pubblicità?"

Alice annuisce e "Si, era proprio quella. Speravo che avesse superato quella fobia, ma sembra che stia ancora lottando con tutte le sue forze".

Matteo si guarda intorno e poi sussurra: "In realtà, anch'io ho sofferto di quella fobia in passato. So quanto possa essere difficile superarla, ma con il giusto supporto e l'aiuto professionale, ci si può riuscire".

Alice sembra interessata all'idea di aiutare Giulia e chiede a Matteo: "Ma come possiamo aiutarla a superare questo problema?"

Matteo riflette un po' e suggerisce: "Potremmo dirle di cercare una forma di terapia che si concentri sulla consapevolezza dei pensieri e delle emozioni. Ho sentito che può essere utile per le persone che soffrono dello stesso problema di Giulia".

Alice sembra incuriosita e chiede: "Come funziona esattamente questa terapia?"

Una classe del liceo sta per partire.

- A giudicare dall’abbigliamento andranno in un paese caldo- pensa tra se e se Matteo

Gli studenti sembrano eccitati all'idea di visitare un nuovo luogo, di sperimentare nuove attività e di creare nuovi ricordi insieme.

Le voci degli studenti si mescolano tra loro, creando un'atmosfera estremamente allegra e vivace. Alcuni ragazzi si scambiano abbracci e saluti, le ragazze sorridono e si scattano selfie. 

L'aria è carica di anticipazione e di emozione, e si può percepire lo spirito dell'avventura che anima gli studenti. Sembra quasi che, per un momento, tutto ciò che conta sia il presente, l'esperienza della gita che sta per iniziare, con tutte le sue possibilità.

"Mamma mia, sembra che le ragazze non riescano a staccarsi dai loro telefonini neanche per un secondo!" commenta Matteo, quelle studentesse 

"Ahahaha, è vero, ma a loro piace di sicuro immortalare ogni momento della loro vita", risponde Alice sorridendo.

“Hai ragione” conclude Matteo non proprio convinto

Ritornati dalla parentesi sulla dipendenza dai social media, Alice e Matteo riprendono il discorso su Giulia. 

"Sono d’accordo con quello che dici", concorda Matteo.  "Giulia ha bisogno di aiuto”

"A proposito di ambiente sicuro, credo che uno degli obiettivi del percorso che potrebbe fare, sia proprio quello di creare uno spazio dove lei si senta libera di esprimere le proprie emozioni senza giudizio", commenta Alice.

"Esatto", conviene Matteo. 

"Il trattamento incoraggia a riconoscere e ad accettare le risposte emotive impegnative, integrandole nelle esperienze, invece di evitarle o cercare di sopprimerle".

"Quindi potrebbe aiutarla a sviluppare una maggiore consapevolezza dei suoi pensieri e delle sue emozioni, in modo da imparare a gestirli meglio?” continua Alice

"Credo proprio di sì, sono sicuro che questo approccio possa essere molto utile in casi come quello di Giulia, dove la paura e l'ansia sembrano bloccare ogni movimento".


Terminata la cena si alzano e si dirigono verso gli imbarchi:  "Andiamo verso la lounge Fly Emirates per attendere l'imbarco?" chiede Alice.

"Sì, è meglio andare con calma per evitare code impreviste", risponde Matteo, facendo un cenno in direzione della sala.

I due si avviano verso la lounge, attraversando i corridoi dell'aeroporto. 

Lungo la strada, scorgono molti viaggiatori che passeggiano di qua e di là, alcuni corrono per prendere l'ultimo volo, altri si godono una pausa prima di imbarcarsi.

Molti leggono un libro o guardano ipnotizzati il loro portatile.

Nel mentre la scolaresca si è divisa in due gruppi, alcuni parlano tra loro, ridendo e scherzando, altri dormono.

In mezzo a loro c'è anche un insegnante, una donna sui quaranta, impegnata a tenere d’occhio tutti i suoi studenti, come una giovane madre con i suoi piccoli.

Mentre si avvicinano alla lounge Fly Emirates, Alice e Matteo passano davanti a una grande pubblicità di un noto profumo, dove il testimonial è il campione di ciclismo Wout Van Aert. 

Dopo aver ammirato per un attimo l'affascinante immagine del corridore belga, i due entrano nella lounge. 

Matteo non può fare a meno di pensare alle imprese mitiche del fuoriclasse belga, il protagonista della pubblicità che hanno appena visto. 

Lo vede in azione, mentre affronta i tornanti delle alpi o pedalando a tutta velocità lungo il pavé del Nord. 

"Chissà cosa deve passare per la testa di un atleta come Van Aert, quando affronta una gara come la Milano - San Remo o il Tour de France” pensa tra sé mentre sprofonda  su uno dei comodi divani della lounge. 

Mentre si adagiano sui comodi divani, Matteo e Alice si godono due esotici cocktail preparati freschi dal barman. 

"Che goduria, questi cocktail sono davvero fantastici!" commenta Alice.

"Sono proprio quello che ci vuole per rilassarci un po' prima di affrontare tante ore di volo", conclude Matteo, sorseggiando il suo drink.

Alice guarda Matteo e dopo qualche istante di riflessione, dice: "Sì, hai ragione. La consapevolezza delle emozioni è un passo importante per la crescita personale e la terapia può aiutare a svilupparla".

"Penso che troppo spesso ci troviamo a fare scelte basate sulle aspettative degli altri o sulle convenzioni sociali, senza considerare veramente ciò che ci fa felici e ciò che riteniamo importante", dice Matteo.

"Esatto", annuisce Alice. 

"Ma è solo quando si è chiari sui propri valori e su ciò che è veramente importante per noi che possiamo prendere decisioni consapevoli e andare verso una vita più ricca e significativa".

"Proprio così", concorda Matteo. "Solo quando abbiamo chiaro ciò che vogliamo veramente, possiamo metterci in gioco e prendere le giuste occasioni per raggiungere i nostri obiettivi".

"Per questo la terapia può essere così utile", aggiunge Alice. 

“Ci aiuta a scoprire i nostri veri valori e ci insegna ad ascoltare la nostra voce interiore, che spesso viene soffocata dallo stress quotidiano e dalle aspettative degli altri".

"Tornando a quello che dicevamo prima, penso che la terapia possa essere molto utile anche per chi non ha dei veri e propri problemi psicologici, ma semplicemente per chi vuole imparare a gestire meglio le proprie emozioni e a vivere una vita più appagante".

"Giulia, ad esempio, sembra avere molta difficoltà a gestire le sue emozioni", suggerisce Alice. 

"Forse potrebbe trarre molto beneficio da questa tipologia di petcorso, anche se non ha dei veri e propri problemi psicologici".

"Penso di sì", risponde Matteo. 

"Potrebbe aiutarla ad acquisire una maggiore consapevolezza delle sue emozioni imparando a come gestirle meglio, in modo da avere una vita più serena".

"Pensandoci bene", continua Alice, "credo che tutti potremmo trarre vantaggio da percorsi di questo tipo, in un modo o nell'altro. È qualcosa che può aiutarci a crescere e a migliorare, anche quando non siamo in crisi".

Dopo un'ora di attesa nella confortevole lounge Fly Emirates, Alice e Matteo vengono chiamati per il loro volo per Tokyo. 

Soddisfatti dall'esperienza appena trascorsa, si alzano dai comodi divani e si dirigono verso il gate, pronti a iniziare la loro avventura in Giappone.

Mentre si avvicinano all’imbarco, non possono fare a meno di ripensare alle conversazioni che hanno avuto riguardo alla terapia e alla consapevolezza delle proprie emozioni. 

Sanno che ci sono ancora molte cose da imparare e da scoprire su di sé, ma sono felici di aver avuto l'occasione di riflettere insieme su questi argomenti.


Una dimensione nascosta

  Siamo portati a credere di sapere chi siamo: pensiamo di conoscere le nostre reazioni, le nostre paure e ciò che ci motiva. Eppure, quant...