sabato 20 settembre 2025

Panico






Negli ultimi anni, nel mio studio di Leini ho notato un fenomeno che si ripete con sempre maggiore frequenza: sempre più persone – giovani, adulti, uomini e donne – arrivano riferendo attacchi di panico ricorrenti, che rendono la vita quotidiana complessa. Non è solamente la crisi acuta che spaventa, ma la paura che possano ripresentarsi, il timore di perdere il controllo, la costante sensazione di essere in pericolo “anche quando tutto sembra normale”. Questo aumento non è solo un’osservazione personale: riflette tendenze che emergono anche nella letteratura scientifica attuale.

In questo articolo vorrei fare il punto su che cosa si intende per attacco di panico, su quanto è diffuso, su quali sono i fattori che lo mantengono, e infine su come l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) – la metodologia che io uso principalmente – può aiutare concretamente. Per chi mi legge e volesse capire se questo approccio possa esser utile per sé o per persone vicine.




Che cosa sono gli attacchi di panico

Un attacco di panico è un’escalation improvvisa di paura o disagio molto intenso che raggiunge il picco nel giro di pochi minuti. Durante quel breve intervallo, si manifestano sintomi fisici e cognitivi (palpitazioni, tachicardia, sudorazione, tremori, difficoltà respiratorie, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, senso di derealizzazione o depersonalizzazione, paura di impazzire o di morire), almeno quattro di questi.

Quando questi attacchi sono ricorrenti, inaspettati, accompagnati da una preoccupazione persistente che possano ripresentarsi, ed è presente una modificazione di comportamento (ad esempio evitare luoghi, situazioni, attività per timore che scatti un attacco), si può parlare di disturbo di panico.

Spesso, negli incontri che conduco, emerge che prima dell’attacco acuto c’è una fase che potremmo chiamare “ansia anticipatoria”: la persona vive costantemente con la preoccupazione che il prossimo attacco stia per arrivare, con ipervigilanza sui segnali corporei, con evitamenti, con logoramento fisico e mentale.




Quanto è diffuso il fenomeno

Ecco alcune cifre per dare contesto:

  • Si stima che nella popolazione occidentale la prevalenza del disturbo di panico si aggiri intorno al 2-4-5% nel corso della vita, con tassi annuali più bassi (ma non trascurabili).

  • In Italia, secondo dati ISTAT (e studi epidemiologici come ESEMeD), la prevalenza annuale del disturbo di panico è intorno allo 0,7-1%, con differenze tra sesso (più frequente nelle donne) e tra fasce di età.

  • Vi è una tendenza, a livello globale, a un aumento della domanda di aiuto per disturbi d’ansia, inclusi gli attacchi di panico. Alcuni fattori che contribuiscono sono la maggiore sensibilità pubblica verso la salute mentale, la riduzione dello stigma, ma anche l’impatto dello stress della vita quotidiana, cambiamenti sociali, economici, e in alcuni casi traumatici.

Nel mio studio noto che soprattutto persone che in passato avevano vissuto qualche attacco isolato, ora arrivano chiedendo aiuto prima che la situazione degeneri: c’è già evitamento, ci sono limitazioni nelle attività, nei comportamenti sociali, nella qualità del sonno, nell’autonomia. Si rivolge a me chi sente che la sofferenza diventa troppo ingombrante per ignorarla.




Perché si mantengono gli attacchi di panico: meccanismi che “alimentano”

Quando non interviene un supporto psicologico, vari fattori contribuiscono a mantenere e peggiorare gli attacchi di panico:

  1. Evitamento esperienziale: la persona fa di tutto per evitare sensazioni corporee, contesti, pensieri che evocano ansia. Paradossalmente, evitarli li rende più potenti, perché non si sperimenta che si possano tollerare.

  2. Sensibilità all’ansia: ovvero la tendenza a reagire in modo catastrofico alle proprie sensazioni corporee (es. “Se mi batte forte il cuore, significa che sto per avere un attacco”, “Se non riesco a respirare, morirò”, ecc.)

  3. Pensieri catastrofici e interpretazioni errate di quello che succede dentro il corpo o nella mente durante un attacco.

  4. Ansia anticipatoria e preoccupazione costante, che creano tensione e ipervigilanza, abbassando la soglia di tolleranza.

  5. Comportamenti disadattivi: evitare luoghi, attività, persone; uso di sostanze; sforzi per controllare in modo estremo le proprie reazioni; isolamento.

  6. Comorbilità: spesso con disturbi depressivi, altri disturbi d’ansia, oppure con fattori fisici che possono rendere percepibili/sensibili gli effetti corporei (problemi cardiaci, disturbi respiratori, ecc.). Questi rendono più complessa l’immagine, ma non impossibile da trattare.




Cosa dice la ricerca sull’efficacia degli interventi

Prima di spiegare come io opero, è utile sapere che la letteratura scientifica ha dato evidenza crescente che alcune forme di terapia psicologica sono efficaci per gli attacchi di panico e per il disturbo di panico:

  • Una meta-analisi del 2015 ha evidenziato che l’ACT è più efficace del trattamento usuale o del placebo per disturbi d’ansia, depressione, problemi somatici.

  • Studi specifici indicano che interventi brevi focalizzati su ACT possono essere efficaci per il disturbo di panico.

  • Ci sono anche ricerche recenti che mettono a confronto ACT e CBT (terapia cognitivo-comportamentale) nel trattamento del disturbo di panico, evidenziando che ACT può avere vantaggi in certi profili di pazienti: per esempio, persone più giovani, con disturbo da più tempo, con alta evitazione esperienziale, donne.

Queste prove non significano che funzioni per tutti allo stesso modo, ma chiaramente rappresentano un’opzione valida, robusta, con risultati pratici nel lungo periodo.




La mia esperienza a Leini: cosa ho osservato

Nel mio lavoro clinico con persone che soffrono di attacchi di panico:

  • molte mi dicono che l’ansia anticipatoria diventa gravosa, influenzando il lavoro, le relazioni, il ritrovarsi con amici; alcuni evitano persino luoghi sicuri, se associati in passato a un attacco;

  • gli attacchi non sono sempre “improvvisi”: c’è spesso una storia costruita di piccoli segnali, di preoccupazione crescente, che non viene colta o affrontata fino al momento in cui l’effetto si propaga;

  • la sofferenza corporea, fisica – il cuore che batte forte, la respirazione alterata, la percezione del corpo che tradisce una stabilità – è spesso descritta come terribilmente minacciosa;

  • la sensazione di non essere compresi: familiari, amici, medici a volte minimizzano (“è solo ansia”, “stai tranquillo”), il che aumenta il senso di isolamento e l’impotenza;

  • ho avuto molti pazienti che, dopo aver provato metodi “classici” (psicoeducazione, tecniche di rilassamento, farmaci, CBT in vari casi), ma con limiti – ricadute, cattiva tolleranza del farmaco, fatica ad affrontare l’evitamento, o nel mantenere i cambiamenti – trovano che lavorare con l’Acceptance and Commitment Therapy porta qualcosa di diverso, qualcosa che resta.




Che cos’è l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) e come la uso

L’ACT è una metodologia psicologica appartenente alla cosiddetta “terza onda” della terapia cognitivo-comportamentale. I suoi elementi chiave:

  • Accettazione: non l’accettazione passiva del disagio, ma la disponibilità a farsi spazio per le proprie sensazioni, emozioni, pensieri, anche quelli terribili, senza cercare di eliminarli o controllarli forzatamente.

  • Mindfulness / consapevolezza: mantenere attenzione al momento presente, osservare cosa succede dentro di sé (pensieri, emozioni, sensazioni corporee) in modo non giudicante.

  • Chiarezza dei valori: capire quali sono le cose importanti per la persona – relazioni, crescita personale, attività significative – e orientare l’azione in base a questi valori, non in base alla paura.

  • Azione impegnata: comportamenti che, anche se inizialmente difficili o ansiogeni, sono scelti in base ai valori personali, con piccoli passi che “espongano” alle situazioni evitate.

  • Flessibilità psicologica: la capacità di fare spazio alle proprie esperienze interne, vivere nonostante il disagio, e di muoversi nella vita in un modo che permetta vicinanza ai valori piuttosto che fuga o evitamento.

Nel mio studio utilizzo l’ ACT come approccio principale per gli attacchi di panico. La modalità: in genere svolgo con il paziente un percorso strutturato, modulato sul suo caso, che include:

  1. una prima fase diagnostica accurata per escludere cause mediche, per valutare la storia degli attacchi, le situazioni scatenanti, il livello di evitamento e ansia anticipatoria;

  2. lavoro sulla consapevolezza corporea e dei pensieri, per “vedere” cosa accade dentro durante l’ansia, imparare a riconoscere i segnali precoci;

  3. esercizi esperienziali (metafore, esposizioni graduali, espandere la tolleranza al disagio), un lavoro sull’accettazione piuttosto che sul controllo;

  4. esplorazione e articolazione dei valori personali; scelta e pianificazione di azioni che seppur evocano ansia, sono importanti per la persona. Azioni che riflettano ciò che davvero conta.

  5. focus sul mantenimento: come mantenere i cambiamenti, come gestire le ricadute, come prevenire che la paura anticipatoria e l’evitamento riprendano terreno.




Alcuni risultati pratici che ho osservato

Dal lavoro in studio posso dire che:

  • molti pazienti riferiscono che, dopo qualche seduta, l’intensità soggettiva degli attacchi diventa meno devastante; non è che lo shock scompare subito, ma la persona percepisce che può “stare” dentro l’esperienza, osservare, piuttosto che esserne travolta.

  • l’evitamento si riduce gradualmente: luoghi e situazioni evitati vengono affrontati con più fiducia, e questo porta a un circolo virtuoso – meno evitamento, meno ansia anticipatoria, meno stanchezza psicologica.

  • l’ansia anticipatoria – cioè quell’attesa angosciosa che “oggi potrebbe succedere” – si attenua, con la conseguenza di miglior qualità del sonno, meno disturbi fisici collegati (tensione muscolare, problemi digestivi, stanchezza).

  • le ricadute si fanno meno frequenti se la persona prosegue con le pratiche e con l’impegno verso i valori, anche dopo la fase più “lavorata”.




Per chi è più adatto, e quando potrebbe servire altro

Non dico che sia la risposta perfetta per tutti, ma nei casi che ho visto funziona particolarmente bene quando:

  • la persona ha già tentato eliminare o controllare troppo (pensieri, sintomi) e questo controllo le pesa;

  • c’è un elevato evitamento esperienziale;

  • l’ansia anticipatoria è uno dei nodi centrali;

  • la persona è motivata a esplorare cosa davvero vuole nella vita, non solo a “tornare come prima”.

In alcuni casi, può essere utile combinare l’act con altri approcci o integrare supporto farmacologico (se indicato dal medico psichiatra). Anche per disturbi comorbidi – depressione, fobie, etc. – serve talora un lavoro più articolato.




Perché questo metodo é la mia scelta principale

Credo offra qualcosa di diverso per gli attacchi di panico:

  • non è solo “togliere il sintomo”, ma cambiare il rapporto con la sofferenza interiore;

  • insegna strumenti per vivere nonostante il panico, non solo per evitarlo;

  • produce cambiamenti che tendono a durare, perché lavora su flessibilità psicologica, valori, azioni efficaci;

  • dal mio punto di vista ho avuto numerosi pazienti che dicono: “non pensavo che potessi tornare a fare certe cose”, “ora quando sento il cuore che batte forte non entro subito in panico”, “posso dormire senza controllare continuamente se domani succederà”.




Cosa fare se leggi questo e pensi che l’attacco di panico sia qualcosa di cui vuoi liberarti

Se stai leggendo e ti riconosci in questi sintomi, ecco alcuni suggerimenti concreti:

  1. Non aspettare che la situazione peggiori: più si lascia che l’evitamento e la paura anticipatoria prendano spazio, più lavoro serve dopo.

  2. Cerca un terapeuta esperto in ACT: è importante che sappia guidarti nel percorso, non solo dare consigli, ma accompagnarti nella pratica esperienziale.

  3. Prendi l’impegno verso il cambiamento: piccole esposizioni, accettazione, affrontare il disagio, anche quando è faticoso.

  4. Mantieni una visione a lungo termine: i miglioramenti possono tardare, possono esserci ricadute, ma con costanza l’ACT ha dimostrato di funzionare anche nel mantenimento.

  5. Se c’è bisogno, valuta con professionisti sanitari anche gli aspetti medici (per es. cardiaci, respiratori) per escludere cause organiche che potrebbero peggiorare la percezione del panico.




Conclusione

In conclusione, gli attacchi di panico sono un disturbo serio, che non va banalizzato. Nel mio studio di Leini vedo sempre più persone che ne soffrono, che vivono in costante allerta, e che sono stanche di vivere con la paura.

L’Acceptance and Commitment Therapy rappresenta oggi, nella mia pratica, una delle metodologie più efficaci per aiutare chi soffre di attacchi di panico. Non elimina magicamente la paura, ma cambia il modo di viverla, di conviverci, e di far sì che non domini la vita.

Se stai cercando un percorso serio, orientato, professionalmente fondato su evidenze scientifiche, che tenga conto non solo del sintomo ma della persona che sei, dei tuoi valori, delle tue aspirazioni, il mio approccio potrebbe essere la via giusta.


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