domenica 11 ottobre 2020

I pensieri che ci condannano




Marco è un bambino di 12 anni.

Frequenta la seconda media.

Non ama particolarmente la scuola, tuttavia se la cava bene. Un giorno l'insegnante di matematica decide di fare un compito in classe a sorpresa. 

Marco, non avendo potuto studiare, rischia di prendere un brutto voto. Decide di provare a copiare dalla compagna di banco preparata. 

La professoressa lo scopre. Prende il suo foglio e lo strappa. Non solo, lo riprende piuttosto duramente davanti alla classe. 

Marco trova questa situazione insopportabile. Non riesce a guardare gli occhi dei compagni di classe. 

Questo evento è per lui talmente significativo che ne porterà i segni fino all'età adulta.

Cosa è successo nella mente di Marco?

L'emozione da cui è stato travolto quel giorno in aula è vergogna.

Ora viene il punto importante e fondamentale.

Cosa ha permesso a quell'emozione di continuare ad essere presente nella vita di Marco condizionandolo in età adulta?

Ecco:

che cosa ha detto Marco a se stesso in quel momento strutturandolo come pensiero definitivo e rigido.

E' molto probabile che Marco abbia detto questo a se stesso "tutti mi stanno guardando, ridono di me, è insopportabile. Non voglio provarla mai più".

Questo evento, per quanto spiacevole, Marco lo ha registrato in modo irrazionale. 

Oggi, a distanza di tempo, ogni volta che vive una situazione simile, la interpreta come insopportabile.

Come interrompere questo schema rigido ripetitivo?

Attraverso la messa in discussione di questo pensiero automatico e controproducente.

Vuoi saperne di più?

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