venerdì 20 dicembre 2024

Natale a Ceresole






Marie, una biologa di trent’anni originaria di Genova, non avrebbe mai immaginato di trascorrere un anno intero immersa nelle montagne piemontesi del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Abituata al mare, alle onde che si infrangono contro i moli di Genova e alla vivacità della città, il trasferimento a Ceresole Reale per studiare la flora del parco le sembrava un’avventura eccitante ma difficile. Quando accettò l’incarico di ricerca, non mancò di organizzare il suo nuovo alloggio per sentirsi il più possibile a casa.


Marie aveva deciso di vivere in una piccola casa ai margini del paese, con una vista mozzafiato sul lago di Ceresole. La casa era piccola ma incredibilmente accogliente, costruita in legno chiaro e pietra locale. Un grande camino dominava il soggiorno, dove Marie aveva sistemato i suoi libri di botanica, il computer per analizzare i dati raccolti e una TV con un buon collegamento Wi-Fi per le sue serate solitarie. Aveva voluto installare DAZN per seguire, anche da lontano, la sua squadra del cuore, la Sampdoria. Sopra la TV, aveva appeso una piccola sciarpa blucerchiata, un simbolo della sua Genova e di ciò che rappresentava per lei: radici, identità e passione.


Un inizio difficile


Ceresole Reale, in inverno, sembrava uscita da una cartolina. Il lago era ghiacciato e la neve copriva ogni cosa, rendendo le strade quasi silenziose e ovattate. Il piccolo borgo era circondato da montagne maestose, e il cielo, spesso grigio, sembrava avvolgere tutto in un abbraccio freddo e distante.


Marie lavorava ogni giorno, raccogliendo campioni di muschi, licheni e piante alpine che resistevano alle rigide temperature. Era affascinata dalla resilienza di queste forme di vita, ma non poteva fare a meno di sentirsi fragile e isolata. Le sue giornate erano piene di lavoro, ma le serate trascorse davanti al camino erano dominate da un senso di vuoto.


Il rifugio Savoia


Un pomeriggio, mentre esplorava i dintorni del Colle del Nivolet, decise di fermarsi al Rifugio Savoia, un luogo accogliente nonostante la neve che circondava ogni angolo. Era una struttura storica, con grandi finestre che offrivano una vista mozzafiato sulle montagne circostanti. Il rifugio era gestito da una piccola famiglia che serviva piatti caldi e vin brulé ai pochi viaggiatori che si avventuravano lì in inverno.


Fu in quel rifugio che incontrò Luca, un ranger del Parco Nazionale. Luca aveva notato subito il suo sguardo pensieroso e si avvicinò con discrezione. “Non sembri del tutto a tuo agio qui,” disse, con un tono gentile.


Marie, che raramente parlava apertamente dei suoi sentimenti, si ritrovò a confidarsi. “Mi sento fuori posto. Ho sempre amato la scienza e il mio lavoro, ma qui, lontano da tutto e da tutti, non so più chi sono. Mi manca casa, mi manca il mare… Non so se ho fatto la scelta giusta.”


Luca le sorrise. “Sai,” disse, “le montagne insegnano a lasciar andare. Non puoi controllare tutto: il tempo, la neve, il vento. Puoi solo accettare ciò che c’è e imparare a crescere intorno a esso, come fanno le piante che studi.”


Lezioni dalla montagna


Nei giorni successivi, Luca si offrì di accompagnarla in alcune delle sue esplorazioni nel parco. Non solo le mostrò luoghi nascosti e specie rare, ma le parlò anche della resilienza della natura. “Guarda gli alberi,” disse un giorno. “Non cercano di combattere il vento o la neve. Si piegano, si adattano, ma continuano a crescere. Non resistono, accettano.”


Quelle parole rimasero con Marie. Cominciò a riflettere su quanto fosse difficile, ma necessario, smettere di lottare contro le sue emozioni. Si rese conto che aveva passato mesi a cercare di respingere la solitudine, il freddo e la nostalgia, senza mai fare spazio a ciò che sentiva realmente.


Un esercizio per ritrovare il controllo


Una sera, seduta davanti al camino, provò un esercizio che Luca le aveva suggerito. Chiuse gli occhi e immaginò i suoi pensieri come nuvole che passavano nel cielo sopra le montagne. La nostalgia per Genova, la paura di non essere abbastanza, il desiderio di scappare via: ogni pensiero scorreva, senza che lei cercasse di fermarlo.


Pian piano, Marie iniziò a sentirsi più leggera. Non perché i pensieri fossero scomparsi, ma perché aveva smesso di combatterli. Li lasciava essere, come nuvole nel cielo, senza identificarcisi completamente.


Scoprire i propri valori


Un giorno, mentre camminava lungo il lago ghiacciato, Marie si chiese: “Cosa conta davvero per me?” Realizzò che il suo amore per la natura, per la scienza, e per ciò che rappresentavano le montagne era ancora vivo. Anche lontano dal mare, poteva trovare un senso di appartenenza. Non doveva scegliere tra passato e presente: poteva portare con sé ciò che era importante e integrarlo nella sua nuova vita.


Un Natale a Ceresole


A Natale, Marie fu invitata alla piccola celebrazione del paese. La chiesa, decorata con semplici luminarie e circondata dalla neve, era colma di abitanti che cantavano canti tradizionali. Dopo la messa, tutti si riunirono nella piazza principale, accanto a un grande falò.


Lì ritrovò Luca e altri abitanti che l’avevano accolta con calore. Mentre sorseggiava un bicchiere di vin brulé, guardò il cielo limpido sopra le Alpi e si sentì, per la prima volta, parte di quel luogo.


“Non devo aspettare la primavera per vivere,” pensò. “Posso fiorire anche ora, nel mezzo dell’inverno.”


Conclusione


Quell’anno a Ceresole Reale, Marie imparò a vivere nel presente, accettando le sue emozioni e concentrandosi su ciò che davvero contava per lei. Era il Natale più autentico della sua vita: un momento di connessione con la natura, con gli altri e, soprattutto, con sé stessa.


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