Un approccio terapeutico che unisce parole, presenza e trasformazione.
Ci sono parole che aiutano a guarire. Non perché abbiano un potere magico, ma perché sanno arrivare nei punti in cui ci si è perduti, dove la logica si ferma e comincia il sentire. È in questi spazi – profondi, sensibili, spesso silenziosi – che nasce il mio modo di lavorare in terapia.
È difficile spiegare in termini semplici un processo complesso come quello terapeutico. Ma forse si può iniziare da un’immagine: quella del racconto.
In fondo, ogni persona che arriva in studio porta una storia.
Alcune sono già molto scritte, altre frammentate, confuse, dolorose.
Il mio compito, come psicologo, è aiutare a ritrovare il filo. E quel filo, talvolta, lo si ritrova non solo parlandone, ma anche raccontandolo in un modo diverso. Più vivo. Più sentito. Più presente.
È qui che si intrecciano le due anime del mio approccio: l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) e l’ipnosi clinica, secondo il modello dell’Istituto di Ipnosi Clinica Sperimentale “Franco Granone” di Torino.
L’ACT è un approccio moderno, profondo,che lavora sulla flessibilità psicologica, sull’accettazione dell’esperienza, sul valore di ciò che conta davvero nella nostra vita. Non si tratta di cambiare i pensieri, ma di cambiare il nostro rapporto con i pensieri. Non si tratta di controllare le emozioni, ma di imparare a lasciarle fluire, senza esserne travolti.
Ma le parole da sole non bastano. Ci sono momenti in cui la mente razionale non riesce più a trovare la via. Ed è lì che entra in gioco l’altra parte del mio lavoro: l’ipnosi clinica.
L’ipnosi non è un trucco, né un dormire. È, come ci insegna il modello di Granone, un linguaggio dell’esperienza, uno stato in cui l’attenzione diventa più focalizzata, la coscienza più fluida, e le possibilità di cambiamento più accessibili. Non si “perde il controllo”: si fa spazio. Si entra in una relazione più profonda con se stessi.
Nel mio modo di condurre le sedute, l’integrazione tra ACT e ipnosi avviene attraverso il linguaggio. Non si tratta solo di “fare ipnosi” in senso stretto, ma di parlare in modo ipnotico: usare un tono caldo, immagini evocative, metafore, pause. Accompagnare il paziente in una narrazione diversa di sé. Raccontare una nuova versione della storia in cui, passo dopo passo, si può scegliere una direzione più vicina ai propri valori.
Per esempio, se un paziente racconta di non riuscire a liberarsi da un pensiero ossessivo, non gli dico subito come contrastarlo. Lo invito a immaginarlo come una barca che passa sul fiume, come un personaggio che attraversa una scena. Lo guido con parole che rallentano, che entrano, che aiutano a vedere da fuori, a sentire senza schiacciarsi. Questo è parlare “in ipnosi”, ma con gli occhi aperti. È portare la profondità nella semplicità. È una forma di presenza.
Ogni incontro è diverso. Ci sono sedute più riflessive, altre più evocative. Alcune partono dal corpo, altre da una frase lasciata a metà. Ma tutte hanno un filo conduttore: accogliere il vissuto, restare con ciò che c’è, e trovare insieme la forma per farlo evolvere.
L’ACT mi offre la struttura, i principi, l’etica del lavoro sul valore e sulla responsabilità. L’ipnosi clinica, come la intendo e la pratico, mi dà la possibilità di sintonizzarmi con la persona, anche nei silenzi. Di accompagnare con rispetto, profondità e delicatezza quei passaggi in cui la coscienza si apre e qualcosa inizia, piano piano, a trasformarsi.
Questo approccio non propone soluzioni preconfezionate. Non c’è un copione. C’è piuttosto un invito a ri-scrivere, insieme, una storia in cui ci si possa riconoscere di più. Una narrazione in cui i dolori trovano posto, ma anche i desideri, i sogni, le scelte.
Perché – in fondo – ogni cambiamento inizia da un nuovo modo di raccontare chi siamo.
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