sabato 22 febbraio 2025

Le Onde e gli Specchi






Il mare di Bergeggi sembrava respirare, ritirandosi e avanzando come un cuore che batteva in sintonia con il vento. 

Le onde, specchi mobili del cielo, riflettevano mille sfumature di blu, ma nessuno degli abitanti del paese le vedeva allo stesso modo.

Marco, il pescatore più anziano del borgo, fissava l’orizzonte con occhi pesanti di pensieri. 

«Le reti torneranno vuote,» borbottava tra sé. «È sempre così quando il vento soffia da terra.»

La sua mente era una lente distorta che ingigantiva ogni fallimento e cancellava ogni successo. Non importava che solo la settimana prima avesse tirato su una delle migliori pescate dell’anno. Per lui, la sorte era segnata: tutto si sarebbe sgretolato, un passo alla volta, e lui avrebbe finito male la settimana di lavoro.

Dall’altra parte del porto, Sara camminava a passo svelto lungo la banchina, lo sguardo fisso sui ciottoli. Ogni volta che incontrava qualcuno, abbassava gli occhi, certa che dietro ogni sguardo si celasse una critica. 

«Pensano che sia ridicola,» pensava, mentre evitava il saluto di un’amica d’infanzia. «Sanno che non sono all’altezza.» La sua mente filtrava ogni esperienza attraverso il prisma della disapprovazione, e anche il più lieve sorriso sembrava una smorfia di scherno.

Poco distante, Luca si godeva l’aria salmastra con le braccia aperte, il vento che gli spettinava i capelli. «Nulla può fermarmi,» pensava, con un entusiasmo febbrile che gli bruciava nelle vene. L’invito alla festa in barca per lui non era solo una serata con amici, ma la conferma che Erica lo avesse invitato perché le piaceva. Il mare, agitato e imprevedibile, non gli incuteva alcun timore. Salì sulla barca con passo sicuro, ignorando le previsioni che annunciavano un temporale imminente. 

E poi c’era il dottor Ferri, il bibliotecario del paese, che osservava tutto questo con la pazienza di chi conosce le trame della mente umana. 

Vedeva Marco affondare nel pessimismo, Sara imprigionata nella sua insicurezza e Luca lanciarsi inconsapevolmente verso una delusione. 

Sapeva che ciascuno di loro non stava realmente guardando il mondo, ma un riflesso alterato, uno specchio che deformava la realtà.

La sera arrivò con il fragore del temporale. 

La barca di Luca fu sorpresa dalle onde alte, e solo il pronto intervento della guardia costiera evitò il peggio. 

Sara, nel frattempo, aveva evitato un incontro con un vecchio amico perché convinta che l’avrebbe trovata goffa, perdendo l’occasione di una serata piacevole. 

Marco, senza nemmeno controllare le reti che lascio a Eric il socio, tornò a casa rassegnato, senza sapere che quella notte il mare gli aveva portato un’abbondanza che non si aspettava.

Il dottor Ferri si sedette sul muretto del porto, ascoltando il respiro del mare. 

Pensò a come la mente ogni tanto ci inganni, come le distorsioni costruiscano gabbie invisibili. 

Marco aveva ceduto al catastrofismo, Sara era prigioniera della lettura del pensiero, e Luca vittima di una minimizzazione del rischio.

Eppure, il mare era sempre stato lo stesso.

Forse, rifletté, il primo passo per essere liberi è riconoscere che ciò che vediamo non è la realtà, ma la nostra interpretazione di essa. 

Come il mare, la vita cambia di continuo, e la nostra capacità di navigarla dipende da quanto siamo disposti a vedere con occhi nuovi.


sabato 1 febbraio 2025

Studio di Psicologia: Riflessioni sulle Convinzioni Interne






In un caldo pomeriggio estivo, lo studio di Psicologia Leinì si presentava come un luogo di calma e serenità, illuminato da una luce morbida che filtrava attraverso l’ampia finestra. 

In quell'ambiente accogliente, pensato per favorire la consapevolezza e la crescita personale, Sara, una giovane donna che da tempo lottava con sentimenti di inadeguatezza e ansia, aveva deciso di intraprendere un percorso di riflessione interiore per comprendere meglio il modo in cui i suoi pensieri negativi si insinuavano nella quotidianità.

Durante la seduta, il dottor Trossello, formato adeguatamente per allenare la capacità di guidare il percorso di esplorazione interiore dei pazienti, invitò Sara a ripercorrere un episodio recente che aveva scatenato in lei un'intensa ondata di disagio. 

In quell'occasione, durante una riunione di gruppo all'università, un commento critico di un compagno aveva avuto l'effetto di innescare una serie di reazioni interne che Sara descrisse come improvvise e incontrollabili. Quell'esperienza, pur essendo accaduta in un contesto specifico, aveva lasciato un'impronta profonda nel suo modo di vedere se stessa e le proprie capacità.

Sara ricordava con precisione ogni dettaglio di quel momento: l'aria tesa nella stanza, il brusio sommesso dei compagni, e il suono quasi impercettibile di un commento che, per lei, aveva avuto un impatto devastante. 

In quell'istante, una serie di pensieri negativi si erano insinuati nella sua mente, emergendo in maniera automatica e senza preavviso. Questi pensieri, che sembravano sorgere come una reazione istintiva all'evento, le avevano fatto sentire improvvisamente inadeguata e incapace di contribuire in modo efficace alla discussione.

Il dottor Trossello, con la sua esperienza e la sua attenzione al dettaglio, invitò Sara a descrivere con cura non solo l'evento in sé, ma anche le sensazioni e le riflessioni che erano  seguite. 

In questo processo, la paziente si rese conto che quei pensieri negativi non erano frutto di una scelta cosciente, ma piuttosto di una reazione automatica che si attivava in risposta a situazioni percepite come minacciose.

Sara iniziò a riflettere su come, immediatamente dopo il commento, una voce interiore si era fatta sentire, suggerendo che lei non era all'altezza delle aspettative altrui e che avrebbe inevitabilmente fatto una brutta figura. Questa voce, così familiare eppure così destabilizzante, le faceva ripercorrere in tempo reale immagini di insuccesso e di rifiuto, distorcendo la realtà e amplificando la percezione di vulnerabilità.

Il dottor Trossello la guidò in un percorso di riflessione  accurata, chiedendole di scomporre quell'esperienza nei suoi elementi fondamentali. 

Sara si rese conto che, al di là del singolo commento critico, c'era una serie di pensieri automatici che si erano attivati: immagini di fallimento imminente, convinzioni di inadeguatezza e l'ansia che cresceva in maniera esponenziale. 

Questi pensieri, come fili invisibili, si intrecciavano tra loro, dando vita a un ciclo che sembrava confermare le sue paure, indipendentemente dalle prove contrarie che avrebbe potuto ricordare.

Attraverso una riflessione guidata, Sara esaminò ciascuno di questi pensieri, cercando di capire come e perché si formassero in risposta a un evento esterno. 

Notò che, in passato, in situazioni simili, aveva ricevuto anche feedback positivi e aveva partecipato attivamente, dimostrando competenza e sicurezza. Tuttavia, in quel preciso momento, il meccanismo dei pensieri negativi si era attivato in maniera automatica, offuscando ogni ricordo di successo.

Il dottor Trossello sottolineò l'importanza di riconoscere questi pensieri come eventi transitori, che si presentano come una reazione immediata a situazioni stressanti. La sua guida permise a Sara di capire che tali pensieri non erano necessariamente rappresentativi della sua realtà complessiva, ma piuttosto di una modalità abituale di interpretare gli eventi, un filtro negativo che distorceva la percezione del proprio valore e delle proprie capacità.

Dopo aver esplorato in modo approfondito l'origine e la natura dei pensieri negativi automatici, Sara si concentrò sull'analisi critica di questi pensieri. Il processo che il dottor Trossello aveva proposto consisteva nel mettere in discussione l'evidenza che supportava quelle convinzioni, confrontandola con esperienze passate in cui aveva dimostrato di essere capace e di aver ricevuto riconoscimenti per il suo impegno.

In questa fase, iniziò a notare una contraddizione interna: sebbene in quel preciso momento il pensiero di inadeguatezza fosse così forte da farle perdere la voce e la partecipazione, in altre occasioni aveva ottenuto risultati positivi e apprezzamenti dai compagni. Questa presa di consapevolezza fu fondamentale, poiché le permise di capire che il pensiero negativo, pur essendo reale e vissuto intensamente, era solo una parte della sua esperienza e non definiva la totalità della sua identità.

Sara, approfondendo l'esplorazione, cominciò a riformulare il significato che attribuiva all'evento. Invece di considerare il commento critico come una prova definitiva della sua incapacità, si rese conto che si trattava di un singolo episodio che, pur doloroso, non poteva cancellare una storia fatta anche di successi e riconoscimenti. Questa ridefinizione mentale rappresentò un passaggio cruciale nel percorso di cambiamento: riconoscere che ogni pensiero negativo, per quanto intenso, poteva essere analizzato, contestato e reinterpretato alla luce di un quadro più ampio e oggettivo della propria esperienza.

Per consolidare questa nuova consapevolezza, il dottor Trossello suggerì a Sara di tenere un libro di riflessione quotidiana. In questo diario, avrebbe annotato ogni episodio in cui emergessero pensieri negativi automatici, descrivendo in modo dettagliato l'evento scatenante, le sensazioni provate e le riflessioni successive. L'obiettivo era duplice: da un lato, sviluppare una maggiore consapevolezza di quei momenti in cui la mente si orientava verso una visione distorta della realtà; dall'altro, imparare a osservare e a riformulare quei pensieri, evidenziando le contraddizioni tra le percezioni negative e le esperienze positive del passato.

Sara accolsel'idea, riconoscendo che la scrittura potesse diventare un prezioso alleato nel processo di trasformazione interiore. L'atto di mettere per iscritto le proprie emozioni e riflessioni avrebbe rappresentato un primo passo verso la consapevolezza continua, una pratica quotidiana che avrebbe rafforzato la sua capacità di guardare alle proprie reazioni con uno sguardo critico ma compassionevole.

Alla fine della seduta, mentre il calare del sole colorava di tonalità dorate le pareti dello studio, Sara lasciò tornò verso casa con un senso di rinnovata fiducia. Aveva imparato a riconoscere e a comprendere in profondità i meccanismi dei suoi pensieri, scoprendo che, sebbene possano insorgere con forza in momenti di stress, essi non rappresentano la totalità della sua esperienza.

Il percorso intrapreso quel giorno le aveva offerto strumenti concreti per osservare e riformulare quei pensieri, trasformandoli da elementi di debolezza in opportunità di crescita personale. Comprendere che un singolo episodio non definisce il proprio valore, e che ogni reazione negativa può essere messa in discussione alla luce di esperienze positive, le aveva permesso di immaginare una nuova visione di sé, più equilibrata e resiliente.

Il dottor Trossello aveva mostrato a Sara come il lavoro sulle convizioni, fatto di consapevolezza e di analisi critica, potesse aprire la strada a una trasformazione. 

Lo studio di Psicologia, con la sua atmosfera serena e la professionalità attenta a ogni dettaglio, rappresentava non solo un luogo di intervento, ma un vero e proprio laboratorio di benessere, dove ogni persona poteva scoprire il potere di cambiare il proprio modo di interpretare la realtà.

Per chiunque si trovi a vivere momenti di ansia e insicurezza, l'esperienza di Sara testimonia che è possibile intraprendere un percorso di riflessione e di ristrutturazione interiore, in cui i pensieri negativi non sono nemici da combattere, ma segnali da interpretare e trasformare. Con impegno, consapevolezza e l'aiuto di professionisti dedicati, ogni passo compiuto verso una maggiore comprensione di sé può rappresentare l'inizio di una vita più serena e appagante.


domenica 5 gennaio 2025

Panico in montagna




Giulia raggiunse Sestriere in un pomeriggio gelido di gennaio. L’aria limpida e pungente le arrossava le guance mentre parcheggiava l’auto nella piazza principale del paese. Le cime delle montagne brillavano sotto il sole invernale, e un sottile strato di neve fresca ricopriva i tetti delle case come una coperta morbida. Si avviò con passo stanco verso il suo appartamento, un piccolo bilocale al terzo piano di un edificio moderno vicino alle piste.

Entrando, fu colpita dal calore accogliente della stanza. Le pareti erano di un bianco brillante, i mobili in legno chiaro e le finestre panoramiche offrivano una vista spettacolare sui pendii innevati. Lasciò cadere la valigia accanto al divano e si avvicinò alla finestra. Osservò le piste, dove sciatori esperti sfrecciavano agilmente e principianti esitanti si muovevano a tentoni. In lontananza, un piccolo rifugio di legno si distingueva tra gli alberi, il fumo del camino che si alzava lento verso il cielo terso.

Ma non era lì per sciare o godersi il panorama. Era fuggita da Torino per cercare un po’ di pace, sperando che la montagna potesse lenire quel peso opprimente che la soffocava da mesi. Gli attacchi di panico erano iniziati all’improvviso, come fulmini a ciel sereno. Ricordava perfettamente il primo: una sera d’estate, mentre era in un ristorante con amici, il cuore aveva iniziato a batterle forte, un senso di vertigine l’aveva travolta, e un terrore inspiegabile l’aveva paralizzata. Pensava di avere un infarto. Il pronto soccorso le aveva confermato che fisicamente era sana, ma da allora gli attacchi si erano ripetuti, sempre più frequenti e devastanti.

Quella notte, nella quiete del suo appartamento di montagna, il panico non tardò a farsi sentire. Si svegliò di soprassalto, il cuore che martellava nel petto, il respiro corto, le mani sudate. Il mondo sembrava restringersi, come se le pareti stessero per schiacciarla. Sentiva il peso del terrore che cresceva, e l’idea di morire lì, da sola, si fece strada nella sua mente. Cercò di calmarsi, ma più provava a respirare profondamente, più il respiro sembrava sfuggirle. Dopo interminabili minuti, il corpo si calmò, ma la mente rimase intrappolata nel ricordo dell’episodio, spaventata dall’idea che potesse accadere di nuovo.

La mattina seguente, con gli occhi gonfi per la stanchezza, decise di uscire per schiarirsi le idee. Camminò lungo il corso principale di Sestriere, passando davanti ai negozi di articoli sportivi e alle caffetterie che servivano cioccolate calde e bombardini. Arrivò infine al limitare del bosco, dove una panchina di legno era posizionata sotto un grande pino. Su quella panchina sedeva un uomo anziano, avvolto in un cappotto pesante e con un bastone appoggiato accanto.

«Bella mattina, vero?» disse l’uomo, alzando lo sguardo dal libro che stava leggendo.

Giulia esitò, poi rispose con un sorriso debole. «Sì, davvero bella.»

L’uomo chiuse il libro e lo posò sulle ginocchia. «Io sono Carlo. Vieni qui spesso?»

«No, è la prima volta,» disse Giulia, sedendosi accanto a lui. Sentiva il bisogno di parlare, di sfogarsi, e quell’uomo dallo sguardo gentile sembrava un buon ascoltatore. «Sono qui per cercare un po’ di pace. Da mesi soffro di attacchi di panico.»

Carlo la osservò con attenzione, senza fretta. «Ti capisco. Anche se può sembrare spaventoso, il panico non è pericoloso. È solo il tuo corpo che reagisce a qualcosa che interpreta come una minaccia.»

Giulia sospirò. «Lo so, me l’ha detto anche il mio psicologo, ma quando succede, sembra di morire davvero.»

Carlo annuì. «È proprio questa la trappola. Il panico nasce da una serie di interpretazioni catastrofiche. Ad esempio, senti il cuore battere più forte e pensi subito: Sto avendo un infarto. Ma in realtà, il tuo corpo sta solo reagendo a un pensiero, non a un pericolo reale. Questo innesca un circolo vizioso: più ti spaventi, più i sintomi aumentano.»

Le parole di Carlo avevano un tono rassicurante, come se spiegassero qualcosa di familiare. «Come si interrompe questo circolo?» chiese Giulia.

Carlo sorrise. «Accettando il panico, non cercando di combatterlo. Più lo combatti, più lui si rafforza. Devi imparare a osservarlo senza giudizio, come se stessi guardando una tempesta dalla finestra, sapendo che prima o poi passerà.»

Nei giorni successivi, Giulia e Carlo si incontrarono spesso. Camminavano insieme lungo i sentieri innevati, e Carlo continuava a insegnarle tecniche e strategie per affrontare il panico. «Il respiro è il tuo migliore alleato,» le disse un pomeriggio. «Quando senti arrivare il panico, prova questa tecnica: inspira lentamente contando fino a quattro, trattieni il respiro per due secondi, poi espira lentamente contando fino a otto. Questo manda al cervello il segnale che va tutto bene.»

Durante una delle loro passeggiate, Carlo le spiegò più in dettaglio il meccanismo del panico. «È come un falso allarme antincendio. Il tuo sistema nervoso autonomo si attiva per proteggerti da un pericolo che non esiste. Il cuore batte più forte per prepararti a scappare o a combattere, il respiro si fa rapido per fornire ossigeno ai muscoli, e il sangue viene dirottato dai visceri ai muscoli, causando quella sensazione di stomaco vuoto o nausea. Sono reazioni naturali, ma il problema è che il tuo cervello le interpreta come segni di un disastro imminente.»

Giulia iniziò a mettere in pratica gli insegnamenti di Carlo. Una sera, mentre stava leggendo sul divano, sentì il panico avvicinarsi. Il cuore iniziò a battere più forte, il respiro si fece affannoso, ma questa volta non fuggì. Chiuse gli occhi, iniziò a respirare lentamente e ripeté a se stessa: «Non c’è pericolo, passerà.» Sentì il terrore crescere, poi, come un’onda che si ritira, diminuire gradualmente. Quando tutto finì, si sentì esausta ma sollevata.

Il giorno della partenza, Giulia si fermò un’ultima volta sulla panchina sotto il pino. Carlo era lì, con il suo libro in mano. «Grazie,» disse lei. «Non ho più paura del panico. So che può tornare, ma ora so anche che non mi farà del male.»

Carlo annuì, con un sorriso leggero. «Ricorda: il panico è solo un’ombra. E tu hai imparato a camminare nella luce.»

Giulia tornò a Torino con una nuova consapevolezza. Aveva scoperto che non era il panico a tenerla prigioniera, ma la sua paura di affrontarlo. Ogni volta che chiudeva gli occhi e ascoltava il proprio respiro, poteva sentire il silenzio della montagna e ritrovare quella calma che aveva imparato a conoscere al Sestriere.

venerdì 20 dicembre 2024

Natale a Ceresole






Marie, una biologa di trent’anni originaria di Genova, non avrebbe mai immaginato di trascorrere un anno intero immersa nelle montagne piemontesi del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Abituata al mare, alle onde che si infrangono contro i moli di Genova e alla vivacità della città, il trasferimento a Ceresole Reale per studiare la flora del parco le sembrava un’avventura eccitante ma difficile. Quando accettò l’incarico di ricerca, non mancò di organizzare il suo nuovo alloggio per sentirsi il più possibile a casa.


Marie aveva deciso di vivere in una piccola casa ai margini del paese, con una vista mozzafiato sul lago di Ceresole. La casa era piccola ma incredibilmente accogliente, costruita in legno chiaro e pietra locale. Un grande camino dominava il soggiorno, dove Marie aveva sistemato i suoi libri di botanica, il computer per analizzare i dati raccolti e una TV con un buon collegamento Wi-Fi per le sue serate solitarie. Aveva voluto installare DAZN per seguire, anche da lontano, la sua squadra del cuore, la Sampdoria. Sopra la TV, aveva appeso una piccola sciarpa blucerchiata, un simbolo della sua Genova e di ciò che rappresentava per lei: radici, identità e passione.


Un inizio difficile


Ceresole Reale, in inverno, sembrava uscita da una cartolina. Il lago era ghiacciato e la neve copriva ogni cosa, rendendo le strade quasi silenziose e ovattate. Il piccolo borgo era circondato da montagne maestose, e il cielo, spesso grigio, sembrava avvolgere tutto in un abbraccio freddo e distante.


Marie lavorava ogni giorno, raccogliendo campioni di muschi, licheni e piante alpine che resistevano alle rigide temperature. Era affascinata dalla resilienza di queste forme di vita, ma non poteva fare a meno di sentirsi fragile e isolata. Le sue giornate erano piene di lavoro, ma le serate trascorse davanti al camino erano dominate da un senso di vuoto.


Il rifugio Savoia


Un pomeriggio, mentre esplorava i dintorni del Colle del Nivolet, decise di fermarsi al Rifugio Savoia, un luogo accogliente nonostante la neve che circondava ogni angolo. Era una struttura storica, con grandi finestre che offrivano una vista mozzafiato sulle montagne circostanti. Il rifugio era gestito da una piccola famiglia che serviva piatti caldi e vin brulé ai pochi viaggiatori che si avventuravano lì in inverno.


Fu in quel rifugio che incontrò Luca, un ranger del Parco Nazionale. Luca aveva notato subito il suo sguardo pensieroso e si avvicinò con discrezione. “Non sembri del tutto a tuo agio qui,” disse, con un tono gentile.


Marie, che raramente parlava apertamente dei suoi sentimenti, si ritrovò a confidarsi. “Mi sento fuori posto. Ho sempre amato la scienza e il mio lavoro, ma qui, lontano da tutto e da tutti, non so più chi sono. Mi manca casa, mi manca il mare… Non so se ho fatto la scelta giusta.”


Luca le sorrise. “Sai,” disse, “le montagne insegnano a lasciar andare. Non puoi controllare tutto: il tempo, la neve, il vento. Puoi solo accettare ciò che c’è e imparare a crescere intorno a esso, come fanno le piante che studi.”


Lezioni dalla montagna


Nei giorni successivi, Luca si offrì di accompagnarla in alcune delle sue esplorazioni nel parco. Non solo le mostrò luoghi nascosti e specie rare, ma le parlò anche della resilienza della natura. “Guarda gli alberi,” disse un giorno. “Non cercano di combattere il vento o la neve. Si piegano, si adattano, ma continuano a crescere. Non resistono, accettano.”


Quelle parole rimasero con Marie. Cominciò a riflettere su quanto fosse difficile, ma necessario, smettere di lottare contro le sue emozioni. Si rese conto che aveva passato mesi a cercare di respingere la solitudine, il freddo e la nostalgia, senza mai fare spazio a ciò che sentiva realmente.


Un esercizio per ritrovare il controllo


Una sera, seduta davanti al camino, provò un esercizio che Luca le aveva suggerito. Chiuse gli occhi e immaginò i suoi pensieri come nuvole che passavano nel cielo sopra le montagne. La nostalgia per Genova, la paura di non essere abbastanza, il desiderio di scappare via: ogni pensiero scorreva, senza che lei cercasse di fermarlo.


Pian piano, Marie iniziò a sentirsi più leggera. Non perché i pensieri fossero scomparsi, ma perché aveva smesso di combatterli. Li lasciava essere, come nuvole nel cielo, senza identificarcisi completamente.


Scoprire i propri valori


Un giorno, mentre camminava lungo il lago ghiacciato, Marie si chiese: “Cosa conta davvero per me?” Realizzò che il suo amore per la natura, per la scienza, e per ciò che rappresentavano le montagne era ancora vivo. Anche lontano dal mare, poteva trovare un senso di appartenenza. Non doveva scegliere tra passato e presente: poteva portare con sé ciò che era importante e integrarlo nella sua nuova vita.


Un Natale a Ceresole


A Natale, Marie fu invitata alla piccola celebrazione del paese. La chiesa, decorata con semplici luminarie e circondata dalla neve, era colma di abitanti che cantavano canti tradizionali. Dopo la messa, tutti si riunirono nella piazza principale, accanto a un grande falò.


Lì ritrovò Luca e altri abitanti che l’avevano accolta con calore. Mentre sorseggiava un bicchiere di vin brulé, guardò il cielo limpido sopra le Alpi e si sentì, per la prima volta, parte di quel luogo.


“Non devo aspettare la primavera per vivere,” pensò. “Posso fiorire anche ora, nel mezzo dell’inverno.”


Conclusione


Quell’anno a Ceresole Reale, Marie imparò a vivere nel presente, accettando le sue emozioni e concentrandosi su ciò che davvero contava per lei. Era il Natale più autentico della sua vita: un momento di connessione con la natura, con gli altri e, soprattutto, con sé stessa.


venerdì 15 novembre 2024

Teresa






L’ansia spesso ci appare come un ostacolo insormontabile, un segnale che qualcosa di terribile sta per accadere. 

Ci immobilizza, ci fa perdere lucidità e, a volte, ci porta a vedere il rischio in ogni passo. In terapia, si lavora per affrontare l’ansia in modo pratico: non cercando di eliminarla, ma imparando a gestirla e a conviverci.

“Theresa cade salendo le scale, Theresa cade scendendo le scale”.

Gli errori e le cadute nella vita sono inevitabili.

Proviamo ad utilizzare questo mantra per iniziare a gestire l’ansia. 

La storia di Marco

Un paziente alle prese con l’ansia paralizzante

Marco (nome di fantasia), 32 anni, si siede sulla poltrona per la sua quarta seduta. È visibilmente teso: le mani si stringono l’una sull’altra, il respiro è corto, e gli occhi vagano per lo studio.

Guarda i quadri dello studio.

“Dottore, non so come fare. Ho questa riunione al lavoro la prossima settimana e mi sento già sopraffatto. Ogni volta che penso a quello che potrebbe andare storto, mi blocco. Mi sembra di camminare su una fune, con il rischio di cadere da un momento all’altro.”

Lo ascolto. 

So che Marco vive l’ansia come un costante bisogno di controllo: il timore di sbagliare e il desiderio di prevedere ogni possibile problema lo portano a uno stato di perenne agitazione.

“Capisco quanto sia difficile per te questo momento. Posso proporti qualcosa di diverso oggi?” 

“Vorrei raccontarti una breve storia che potrebbe aiutarti a vedere le cose da una prospettiva diversa.”

C’era una volta Theresa. Ogni giorno saliva le scale di casa sua, e ogni giorno scendeva. 

Ma un giorno, salendo, Theresa inciampò e cadde.

Passarono dei giorni, e Theresa, riprendendo la routine, cadde nuovamente mentre scendeva. 

Theresa cade salendo le scale, Theresa cade scendendo le scale.”

Marco sorride leggermente, ma rimane confuso. “Va bene… e quindi?” 

Rispondo 

Questa storia ci insegna è che non importa se stiamo salendo o scendendo, il rischio di cadere c’è sempre. 

Ma cadere non è la fine: è solo una parte del percorso. 

Marco riflette. 

La semplicità della storia inizia a mettere in dubbio la rigidità dei tuoi pensieri.

“Ma io non voglio cadere,” risponde Marco, “è questo che mi terrorizza.”

“Nessuno vuole cadere. Ma la vita non è fatta solo di passi sicuri. A volte inciampiamo, e questo non significa che abbiamo fallito.”

“Significa solo che stiamo camminando.”


sabato 14 settembre 2024

Riflessioni Post-Seduta






Nel mondo della terapia psicologica, il successo del percorso dipende da una combinazione di fattori, tra cui l'efficacia della relazione terapeutica, la capacità di affrontare le difficoltà emotive e, soprattutto, la motivazione del paziente al cambiamento. Un aspetto cruciale, ma spesso trascurato, è ciò che avviene tra le sedute, quando il paziente ha il compito di riflettere e mettere in pratica quanto emerso durante la terapia. È proprio in questo contesto che ho sviluppato una pratica clinica che si è rivelata estremamente efficace: le riflessioni post-seduta.

Questo metodo, che ho ideato personalmente dopo aver osservato risultati più che soddisfacenti nei miei pazienti, consiste nell'invio di un resoconto approfondito della seduta, contenente pensieri, riflessioni e collegamenti tra i temi trattati. È uno strumento che non solo mantiene viva l'attenzione sul percorso terapeutico, ma favorisce una profonda rielaborazione dei contenuti emersi e sostiene la motivazione al cambiamento. In questo articolo esplorerò in dettaglio le ragioni per cui questo strumento si è dimostrato tanto efficace, e come può essere integrato con successo nel lavoro clinico.

Cos'è la Riflessione Post-Seduta?

La riflessione post-seduta è un feedback strutturato che invio al paziente dopo ogni incontro. A differenza di un semplice riassunto, si tratta di una rielaborazione approfondita della seduta, in cui analizzo attentamente quanto emerso, identifico connessioni tra i temi trattati e fornisco spunti per ulteriori riflessioni. Il contenuto del rimando è adattato alle esigenze individuali del paziente e viene studiato per favorire la continuità del lavoro terapeutico.

Ad esempio, se durante la seduta un paziente ha manifestato difficoltà nel gestire l'ansia legata a una situazione specifica, nel rimando post-seduta non mi limito a ripetere quanto detto, ma invio riflessioni su come l'ansia si collega ad altri aspetti della vita del paziente, suggerendo strategie concrete per affrontarla. Questo strumento permette al paziente di riflettere con maggiore calma e chiarezza su quanto emerso, mantenendo la connessione emotiva e cognitiva con il lavoro terapeutico anche al di fuori della seduta.

Perché Ho Creato Questo Strumento?

L'idea di implementare le riflessioni post-seduta è nata da un'esigenza concreta che ho riscontrato nel mio lavoro clinico. Mi sono accorto che molti pazienti, soprattutto quelli che affrontavano tematiche complesse come l'ansia cronica, la depressione o i disturbi emotivi, avevano difficoltà a mantenere la riflessione sui temi trattati nel corso delle sedute. Spesso si perdevano nei giorni successivi, rischiando di perdere il focus o di non cogliere le connessioni tra le tematiche trattate e la loro vita quotidiana.

Per rispondere a questa esigenza, ho cominciato a sperimentare l'invio di resoconti post-seduta, notando subito un impatto positivo. I pazienti non solo si sentivano più supportati e coinvolti, ma erano anche in grado di mantenere alta la motivazione e di lavorare attivamente sui temi emersi. La continuità del pensiero terapeutico e la chiarezza sui passi successivi del percorso hanno prodotto risultati che si sono rivelati costanti e duraturi nel tempo.

Riflessioni Post-Seduta e Motivazione al Cambiamento

Un elemento centrale nel successo di questo approccio è il suo impatto sulla motivazione al cambiamento, un tema esplorato da David H. Barlow nel suo Protocollo Unificato per il Trattamento Transdiagnostico dei Disturbi Emotivi. Barlow sottolinea come il mantenimento della motivazione sia una sfida cruciale, soprattutto nel trattamento di disturbi emotivi come ansia, depressione o disturbi dell'umore, dove i progressi possono sembrare lenti e le ricadute frequenti.

Le riflessioni post-seduta si sono rivelate uno strumento efficace per sostenere la motivazione proprio in questi momenti critici. Ogni resoconto rappresenta una sorta di "rinnovo" dell'impegno terapeutico, un promemoria concreto dei progressi fatti e delle aree su cui lavorare. Questo rinforzo costante aiuta i pazienti a non perdersi nei momenti di difficoltà, ricordando loro il valore del lavoro intrapreso e offrendo strategie concrete per continuare il cambiamento.

Inoltre, il rimando permette di fare una "revisione" dei comportamenti e delle emozioni del paziente, evidenziando come anche piccoli passi avanti abbiano un grande valore nel processo di cambiamento. Questo focus sui progressi, per quanto minimi, stimola la percezione di autoefficacia, un fattore cruciale per il mantenimento della motivazione a lungo termine.

Rafforzare il Focus sul Percorso Terapeutico

Oltre a mantenere alta la motivazione, le riflessioni post-seduta svolgono un'altra funzione essenziale: aiutano a mantenere il focus sugli obiettivi terapeutici. Nei percorsi di terapia, è comune che le tematiche affrontate siano molteplici e complesse, e che il paziente, tra una seduta e l’altra, possa sentirsi confuso o perdere il filo del discorso.

Le riflessioni inviate al termine di ogni incontro fungono da "ancora" che tiene il paziente legato agli obiettivi principali del trattamento. Ogni riflessione post-seduta viene scritta con l'intento di riorganizzare e chiarire i punti chiave affrontati, collegando le diverse tematiche tra loro e fornendo indicazioni su come continuare a lavorare sui temi principali. In questo modo, il paziente non solo si sente accompagnato nel processo, ma ha anche una direzione chiara da seguire tra le sedute, riducendo il rischio di dispersione o confusione.

Ad esempio, se durante una seduta emerge un tema legato all’autostima e alle relazioni interpersonali, il resoconto post-seduta aiuta a stabilire connessioni tra questi aspetti e gli obiettivi terapeutici più ampi. Questo permette al paziente di rimanere focalizzato sulle priorità del trattamento, evitando di essere sopraffatto da emozioni o pensieri secondari.

Risultati Osservati

L'adozione di questo approccio ha prodotto risultati molto soddisfacenti sia a livello di coinvolgimento del paziente, sia in termini di efficacia terapeutica complessiva. I pazienti che hanno ricevuto le riflessioni post-seduta hanno mostrato un maggiore grado di consapevolezza rispetto al loro percorso, una maggiore capacità di riflessione autonoma e, soprattutto, una continuità nel processo terapeutico che ha portato a progressi più stabili.

Uno degli aspetti che ha particolarmente sorpreso è stato il grado di auto-riflessione sviluppato dai pazienti. Le riflessioni post-seduta sembrano stimolare un pensiero critico che permette al paziente di auto-monitorarsi con più efficacia, diventando più consapevole delle proprie dinamiche interne anche nei momenti lontani dalla terapia. Questo ha facilitato un passaggio da una dipendenza dal terapeuta a una maggiore autonomia nel proprio processo di cambiamento, contribuendo a un miglioramento del senso di autoefficacia.

Sfide e Precauzioni

Nonostante i risultati positivi, l'uso delle riflessioni post-seduta richiede alcune precauzioni. È importante che i resoconti siano sempre mirati e chiari, per evitare che il paziente si senta sopraffatto da troppe informazioni. Il linguaggio utilizzato deve essere accessibile e in sintonia con le capacità di comprensione del paziente, evitando tecnicismi eccessivi o riflessioni troppo complesse.

Inoltre, è essenziale che il rimando sia percepito dal paziente come un supporto, e non come un compito obbligatorio o un'ulteriore pressione. L'obiettivo è che il paziente si senta accompagnato e sostenuto nel processo di riflessione, senza sentirsi giudicato o in ansia per dover rispondere alle aspettative del terapeuta.

Conclusione

Le riflessioni post-seduta rappresentano uno strumento potente per sostenere la motivazione e mantenere il focus nel percorso terapeutico. Grazie a questo metodo, i pazienti possono continuare a riflettere e lavorare su se stessi anche al di fuori delle sedute, favorendo una maggiore continuità e profondità nel processo di cambiamento. I risultati più che soddisfacenti osservati nei miei pazienti confermano l'efficacia di questo approccio, che si sta dimostrando una risorsa preziosa per promuovere il benessere psicologico in modo personalizzato e costante


Le Onde e gli Specchi

Il mare di Bergeggi sembrava respirare, ritirandosi e avanzando come un cuore che batteva in sintonia con il vento.  Le onde, specchi mobil...