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venerdì 29 novembre 2019
Diario di un capitano
Collaborando da anni con diverse strutture riabilitative per pazienti con disturbi di tipo psichiatrico, ho conosciuto tante persone che soffrivano questa dimensione. Così debilitante. Così tragica. Così ancora straziante. Il signor Pietro, e di Pietro ne ho visti tanti (ma lui era unico, come tutti) è stato ospite della Comunità per la quale mi occupavo di diagnosi in ingresso, diversi anni. Il duro lavoro svolto con Pietro, gli ha permesso di essere maggiormente integrato al contesto, in grado di gestire gli spazi oltre che capace di seguirne i ritmi giornalieri. Proprio questi ultimi aspetti (orari dei pasti, delle attività strutturate e delle uscite) hanno rappresentano per il paziente la possibilità di conservare l’orientamento spazio-temporale. Fuori dai cancelli che dividono il mondo delle strutture psichiatriche (un tempo manicomi) dalla realtà di tutti, questo aspetto non ha quasi più importanza, ma dentro si. Ed ha un peso notevole. Soprattutto per la persona. Pur non essendo ancora completamento autonomo ed attivo rispetto la cura del sé, lascia che gli operatori si occupino di tale aspetto quando si mostra scarsamente compliante o che gli ricordino la necessità di tale aspetto. Si è raggiunto, gradualmente, un discreto livello di igiene personale anche solo monitorando le sue azioni: rispetto all’alimentazione e all’utilizzo dei servizi appaiono discrete e consolidate le competenze. Il paziente partecipa regolarmente alle assemblee, spesso come osservatore, dialoga con gli operatori, ma non accetta di usufruire di uno spazio personale per il colloquio diverso da quello che stabilmente presidia. Al di fuori di un contesto strutturato, però, è capace di mantenere semplici dialoghi e di esprimere le sue opinioni. Si reca in sala da pranzo, si reca negli spazi adibiti al gruppo-assemblea, si reca al bar e partecipa alle uscite, ma preferibilmente presidia una zona della Comunità e reagisce in maniera aggressiva quando qualche altro ospite invade tale zona. Perchè? Perchè la comunità ha le sue regole di convivenza, di assestamento, di conflitto se vogliamo. Nel contenitore si cerca l’equilibrio, sempre. E questa estenuante ricerca, a volte, passa inesorabilmente per lo scontro. Il comportamento di Pietro risulta essere sempre caratterizzato da ripetitività e perseverazione: gestisce i tempi della quotidianità in maniera estremamente limitata, ma autonoma. Non emergono più agiti ripetuti (nascondere cibo in camera) e stereotipie comportamentali. E’ in grado di tollerare timidi approcci corporei da parte degli operatori (saluto con il dito mignolo e diminuzione della distanza prossemica). Il dito mignolo. Questo timido, tiepido contatto come a tenere l’altro distante. L’altro che forse ha avuto un ruolo un tempo nell’indirizzare Pietro qui. Appare orientato nel tempo e nello spazio, non emergono difficoltà a livello mnemonico, si rilevano attenzione e vigilanza (a tratti anche estremamente accentuate). Il linguaggio appare poco sviluppato e di natura stimolo-risposta, ovvero limitato all’interazione breve; rispetto al passato, Pietro utilizza le parole anche per esprimere emozioni e stati d’animo congrui al contesto e dentro spazi relazionali (es: “sono contento che le vacanze sono andate bene”). La capacità di comprensione appare ben conservata. L’aspetto relazionale, appare migliorato: le caratteristiche autistiche e di distanza si sono notevolmente ridotte e la persona accetta l’invasione, limitata e puntuale, dei suoi spazi da parte degli operatori. Sempre compliante a livello farmacologico e poco provocatorio con le figure di riferimento per tale aspetto.
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